
Non è certo nuova l’attenzione per i classici per Federico Tiezzi che, dopo Medea e Antigone, questa volta mette al centro del suo spettacolo Fedra, figura femminile protagonista nei testi dei noti tragediografi ellenici Euripide e Seneca, e che qui è presentata nella versione di Racine, tragedia in cinque atti scritta dall'autore francese nel 1677.
Quando il sipario è ancora chiuso, sul proscenio appare con abiti scintillanti e ventagli di piume la regina Fedra (la luminosa Elena Ghiaurov): come una showgirl, danza e canta sinuosa accompagnata da due vallette. Di impatto questo inizio, pronto a introdurre lo spettatore in una dimensione onirica, che tuttavia è breve, prima di entrare nella dura realtà della tragedia di Racine e al nocciolo della questione con l'apertura del sipario.

L'impostazione classica tra teatro e sogno
L'impostazione dello spettacolo Fedra firmato Federico Tiezzi è classica e la drammaturgia fedele al testo di Racine. La classicità è insita nella teatralità quasi canonica della recitazione degli attori, quasi delle statue viventi all'interno di una scenografia tradizionale che ricostruisce un salotto d'altri tempi, dove tra lampadari antichi e teste di statue greche si interpone uno sfondo mobile e mutevole. Fedra è uno spettacolo che si muove tra teatro e sogno, tra gelosie accecanti e evocazione agli dei, tra perpetuo disordine e ricerca di strategie per uscirne. L'abisso della disperazione è il fulcro di ogni vicenda, dove ogni personaggio è ben delineato e ha un ruolo ben preciso all'interno della tragedia.

La passione di Fedra
Fedra è una tragedia in cinque atti scritta da Jean Racine nel 1677. La regina Fedra è in preda a una passione prorompente per il suo figliastro Ippolito (interpretato da un notevole Riccardo Livermone), nato dal primo matrimonio del marito Teseo (Martino D'Amico). Ippolito, innamorato di Aricia (Catherine Bertoni de Laet), non ricambia i sentimenti della regina e quest'ultima, per sete di vendetta e per gelosia, farà in modo, che Ippolito venga accusato di stupro.
Il testo messo in scena è quello tradotto dal poeta Giovanni Raboni, che, per dirla con Tiezzi, va a doppiare continuamente il verso già poetico di Racine andando a prediligere un teatro di poesia, basato sul verso poetico recitato. Il ritorno del re Teseo segna l'inizio della tragedia, dell'abisso in cui i personaggi sprofondano, tra disperazione e vendetta, vergogna e desiderio di morte, perchè come si afferma all'interno dello spettacolo, la morte non spaventa gli infelici.

Fedra: tra psicanalisi e morte
Il difficile e doloroso viaggio di Fedra verso la fine che si autoinfliggerà, il dibattersi tra altare e miseria da insuccesso, tra vendetta, vergogna e ossessione per la morte, trova compimento nel rapporto con Enone (con l'intensa interpretazione di Bruna Rossi), sua custode e consigliera, quasi una psicoterapeuta onnipresente, ma anche elemento di presagio di morte e di male.
Enone ha le sembianze della Morte, indossa un lugubre abito nero. Infatti nelle intenzioni di Racine, Enone è colei che accuserà Ippolito di stupro e non Fedra, togliendo alla regina un ruolo così infamante e ponendola su un piano superiore, più dignitoso. Il nero è un colore che ritorna all'interno dello spettacolo anche negli abiti di Fedra e nel divano-sepolcro al centro del salotto.
Questa tonalità è simbolo di austerità, ma anche morte, di un destino ignoto, del male. Tutti i protagonisti, hanno la figura di un custode-psicanalista accanto: c'è Enone per Fedra, Ismene (Valentina Elia) per Aricia, Teramene (Massimo Verdastro) per Ippolito. Tutti hanno un segreto, tutti si confidano, tutti possono provare vergogna.

La scena tridimensionale
La scena apparentemente statica si trasforma gradualmente in una scena a scatole apribili con sfondo mutevole (si alternano un quadro, la statuetta di un lupo e un bonsai), che acquisisce tridimensionalità e spessore grazie all'uso di luci di scena (di Gianni Pollini) che scandiscono gli spazi per renderli profondi e sempre più abitabili dalle emozioni che si addensano e faticano a venir fuori, rendendo il palco saturo di tensione, tra flusso di coscienza, desiderio e disperazione.

Uno spettacolo fuori dal tempo
La regia di Federico Tiezzi conferma l'imponenza di un testo così complesso di cui tuttavia risulta ardua l'impresa della messa in scena, che non ottiene gli esiti migliori. Inoltre nonostante la recitazione sia di un alto livello con un cast di tutto rispetto, sembra essere troppo concentrata sugli aspetti tecnici e poco su una resa anche emotiva che riesca a rendere la tragedia nella sua autenticità all'interno di un nuovo contesto, quello odierno.
Restano quindi in primo piano gli aspetti estetici con il risultato di uno spettacolo fuori dal tempo che sembra rincorrere il concetto di bello, ma in cui è difficile scorgere sfumature distintive e memorabili in tempi più prossimi.