Teatro.it incontra Loredana Furno, che racconta la sua vita legata alla danza: inizialmente come prima ballerina del teatro Regio di Torino per poi scegliere la strada dell’imprenditoria artistica.
Che una prima ballerina assunta stabilmente al teatro Regio di Torino scegliesse la strada dell’imprenditoria artistica non si era mai visto. Erano gli anni ’70 e le donne cominciavano allora in Italia a imporsi nella loro professione. Lasciare il posto fisso di un ente lirico per un’avventura manageriale era una decisione all'epoca inconsueta.
“Loredana Furno ha fatto una scelta precisa - scriveva lo studioso Mario Pasi - ha dato vita a un collettivo di artisti che in breve tempo è diventato un centro di produzione autonomo. Appoggiandosi al teatro Nuovo, il collettivo non solo si è inserito nella cultura della città ma si è espresso come punto di incontro con altre esperienze della danza internazionali”.
Da allora Loredana Furno, oltre ad aver fatto nascere il festival Bolzano Danza, il Festival dei Laghi nelle dimore storiche del Maggiore e D’Orta, Vignale Danza e Aqui in Palcoscenico, dirige la compagnia Balletto Teatro di Torino, che sarà in scena il 29 settembre al Festival MilanOltre al teatro Elfo Puccini.
Dal 1977 a oggi la fisionomia del Balletto Teatro di Torino (BTT) è cambiata?
Oggi è prettamente contemporanea. Ma già nel 1977 è stata progettata per essere in linea con le tendenze europee della danza neoclassica e contemporanea. Un’esperienza forte e impegnativa per me che fino ad allora aveva solo danzato e mai diretto. Un salto nel vuoto. Mi sono buttata a capofitto nel nuovo progetto invitando coreografi come Milorad Miskovitch, Vittorio Biagi, Loris Gai, Roberto Fascilla.
Negli anni ’80 mi sono aperta ancora di più alla danza contemporanea ospitando artisti Bertrant D’At, Job Sanders, Gigi Caciuleanu, Luca Veggetti. Nel 2000 Karole Armitage ha persino creato per il BTT il suo particolarissimo “Yo, Gioacomo Casanova”.
C’è stata anche una seconda e lunga fase autoriale con Matteo Levaggi, da allievo a coreografo residente…
Nel 2001 ho voluto ridefinire il profilo artistico della compagnia scegliendo come coreografo stabile Matteo Levaggi, che è entrato a 14 anni nella scuola del BTT e a 20 ha plasmato sulla sua particolare qualità di movimento i nuovi danzatori della compagnia.
In questa lunga fase il Balletto Teatro di Torino nel 2008 è insignito del “Prix compagnie d'auteur" nell'ambito de "Les Étoiles de Ballet 2000" a Cannes e ha portato i suoi spettacoli nei maggiori teatri italiani e all'estero: dalla Biennale di Lione al Joyce Thetare di New York fino al Pavillon Noir, sede d’attività del coreografo Angelin Preljiocaj in Francia. Da allora quella vocazione iniziale all'apertura verso nuovi linguaggi non è cambiata e oggi la compagnia, diretta da Viola Scaglione, è prettamente contemporanea.
Cosa portate al festival MilanOltre?
La serata di spettacolo “Studio su Anemoi + Primitiva. Origine di impulsi sconosciuti”, con le coreografie di Manfredi Perego. “Studio su Anemoi”, in prima nazionale, è un lavoro dove la danza scaturisce da una ferita portata dal vento: quella che permette lo scorrere dell'aria dentro il corpo. Almeno idealmente. Attraverso i secoli persone e personaggi più o meno noti hanno dedicato al vento frasi, poesie, pensieri, ma più che come una dedica come un affidamento. Come se il movimento dell'aria permettesse una sorta di liberazione, una transizione fisica, emotiva, per ognuno differente ed unica. La seconda creazione “Primitiva”, prodotta da TIR Danza, nasce da una ricerca sulla corporeità nei suoi elementi primari, è un viaggio mnemonico nella più arcaica e animalesca percezione del sé.
Dalla fine degli anni ‘70 il sistema danza si è trasformato, come?
In 40 anni, che festeggeremo il prossimo dicembre, la danza ha subito molte variazioni. All'epoca andava molto il balletto narrativo, anche al di fuori del repertorio. Tra le prime cose da me scelte e interpretate, anche in forza delle mie caratteristiche di danzatrice drammatica, il balletto “Werter”, che ha segnato la riscoperta di un musicista piemontese del ‘700, Gaetano Pugnani, mentre nel centenario della nascita di Guido Gozzano ho prodotto “Amo le rose che non colsi”. Potrei dire che questo lavoro legato alla cultura del territorio oggi non si fa più. Mentre i progetti tematici, a cui ho creduto con forza, sono fortunatamente rimasti nelle programmazioni di alcuni festival.
Qualche esempio di progetto tematico?
Esplorare con specifici progetti il lavoro di salvaguardia del patrimonio coreografico internazionale del passato è stato uno dei miei cavalli di battaglia. La José Limón Foundation ha concesso i diritti di rappresentazione di “There Is a Time”, a cui sono seguiti Progetto Lifar nel 1997 e Progetto Milloss nel 1999, sostenuto dalla UE, che esploravano il lavoro di alcuni dei coreografi più significativi attivi negli anni ‘50 e ‘60.
Dal teatro Nuovo al teatro di Torino il BTT si è infine stabilita a Collegno, nella sede della Lavanderia a Vapore…
Ho assunto la direzione artistica della Lavanderia a Vapore di Collegno e della relativa stagione di danza (raro caso di Centro coreografico in Italia) dal 2009 al 2015, rimanendovi oggi con l’attività del BTT nell'ambito delle iniziative della Fondazione Piemonte dal Vivo. Si tratta di una struttura enorme, la lavanderia a vapore dell’ex manicomio, che la Regione Piemonte decise di trasformare la struttura in centro d’eccellenza per la danza emettendo un bando. Tuttavia i costi di mantenimento della struttura, basti pensare al riscaldamento, sono solo minimamente coperti dai fondi istituzionali. Ho preferito allora lasciare. E’ stata tuttavia un’esperienza elettrizzante che mi ha permesso di ospitare il meglio della produzione europea e americana. Dalla canadese Louise Le Cavalier dei La La La Human Step a Michael Nyman.
Il sistema danza è cambiato in peggio?
Gli enti lirici stanno eliminando i corpi di ballo uno a uno. Non hanno soldi, pur avendo le sovvenzioni statali. Sono nate negli anni ‘70 al di fuori degli enti lirici grandi compagnie private, basti pensare al Balletto di Roma e alla compagnia di Vittorio Biagi, ma anche ad Aterballetto e al Balletto di Toscana. Ora anche le compagnie di questo genere non ce la fanno. Nascono invece piccoli gruppi di artisti, compagnie poco strutturate che però producono lavori interessanti e girano in circuiti dedicati alla ricerca.
Chi sono i ballerini di oggi?
Da quando ho fondato la compagnia sono passati 50 anni. I ballerini sono diventati prodigiosi tecnicamente, eclettici. Manca forse in loro la personalità, il carisma. Sono specializzati. Le generazioni di oggi sono belle ma forse meno espressive. E in Italia non mancano i talenti. E’ un peccato che emigrino all'estero, dove c’è un sistema di produzione e distribuzione del denaro pubblico fiorente, dove ci sono centri coreografici come in Francia o compagnie in ogni città come in Germania.
Se tornasse indietro rifarebbe il percorso?
Rifarei tutto. Però mi ritengo fortunata. Ho sempre realizzato ciò che desideravo per me e per la compagnia. Ecco perché oggi sogno ancora.