Il diritto di commuoversi («scusate se sono un po’ commosso e magari si vede») e l’orgoglio di ritornare («c’eravamo persi di vista, c’era attorno a me la nebbia della politica e qualcuno ci soffiava dentro...», a 86 anni, davanti alle telecamere, con un programma in cui si parla di regole e di resistenza. Quella della storia, che si festeggia dopodomani, e quella quotidiana, combattuta sui fronti più diversi, dalle case occupate alle fabbriche autogestite fino alla tv. Resistenza che Enzo Biagi ribadisce nell’intervista a Fabio Fazio: «Vorrei dire una verità in più di quelle che sono state dette, così potrò considerare terminata la mia parte. Il partito democratico? Ci mancherebbe che non lo fosse: vedremo come nomineranno il leader... La questione Telecom? L’importante non è chi avrà il potere ma cosa ne farà».
Di fronte al giornalista più celebre della tv di Stato, in video dopo cinque anni di forzata lontananza «dovuta a insuperabili ragioni tecniche», siede lo scrittore più celebrato del momento, che con il suo libro d’esordio, Gomorra, ha venduto oltre 700mila copie. La testa candida di Biagi davanti a quella rasata di Roberto Saviano, è la prima intervista dello speciale che ieri su Raitre ha anticipato il nuovo ciclo di trasmissioni, fissato per stasera alle 23,15 sulla rete di Paolo Ruffini. Confronto di generazioni, unite dallo sguardo lucido sulla realtà. Biagi: «La politica usa la camorra o la camorra usa la politica?» Saviano: «C’è stata una modificazione. Dopo Tangentopoli, le organizzazioni criminali hanno capito che non possono più fidarsi, come in passato, della politica. E le organizzazioni criminali non sono mai all’opposizione. Non esiste un territorio politico che non abbia un’influenza di un clan».
Nella sigla di Rti Rotocalco televisivo si sono lette, in apertura, parole care al conduttore, «coraggio», «coerenza», «dignità», «libertà», «giustizia», «tolleranza», «rispetto della Costituzione». Nell’intervista al giudice Gherardo Colombo, che ha lasciato la magistratura, ce n’è soprattutto una, «regole», ripetuta più volte. Biagi: «Quando ha sentito che questo Paese ha smarrito il senso di legalità?». Colombo: «Io credo che la relazione tra persone e regole sia incredibilmete sofferta. Come spiegare altrimenti che provvedimenti di clemenza, condono e via dicendo, continuano a ripetersi, praticamente da quando siamo una Repubblica? Questi provvedimenti richiedono, per essere utili, che la devianza sia massiva e quindi sono un indice di cattivo rapporto con le regole». Dalla resistenza di Colombo (era stato il suo capo all’epoca del pool di mani pulite, Borrelli, a pronunciare, durante il governo Berlusconi, la celebre esortazione “resistere, resistere, resistere”), a quella di Don Fornasini, il giovane prete di Pianaccio, decapitato dai tedeschi a 29 anni, nella Bologna appena liberata. La memoria s’intreccia con il presente, in Morire per raccontare c’è l’omaggio ai giornalisti morti sul lavoro, in Casa dolce casa c’è chi racconta cosa significa oggi, a Roma, essere senzatetto. Avanti, sempre descrivendo il Paese che resiste, quello degli operai di Bollate che hanno preso in mano la gestione della fabbrica da cui stavano per essere licenziati, e di Giancarlo Maria Bregantini, il vescovo di Locri che ha promosso la nascita di cooperative agricole dove sono «impegnati centinaia di giovani». Si resiste ancora, al dolore del ricordo, nella casa di Lili Ascoli Bonfiglioli, 100 anni, ebrea, che ricorda il 25 aprile della Liberazione: «C’erano gran balli nelle piazze, ma io ero talmente desolata perchè non sapevo che fine avesse fatto mia mamma». Testimoni del tempo come Primo Levi in un’intervista d’epoca a Biagi, Vittorio Foa e Tina Anselmi: «La libertà è una conquista di ogni giorno». E Biagi conclude: «
Resistere è comportarsi ogni giorno nel rispetto degli altri». Stasera il viaggio continua, con l’indagine sulle morti bianche, l’intervista a Umberto Veronesi, il documentario C’era una volta l’Afghanistan.