San Pietroburgo, 1860. Dopo l'attentato ad un membro della famiglia imperiale, lo scrittore Fjodor Mikhajlovic Dostojevskij incontra nel manicomio un giovane rivoluzionario che gli ha scritto una lettera. Il ragazzo si chiama Gusiev e gli confessa di far parte di un gruppo terroristico che sta per mettere a segno un altro delitto. Lo scrittore è sconvolto da questa rivelazione che avviene nel momento in cui sta ultimando la stesura del suo ultimo romanzo "Il giocatore". Inizia così per Dostojevskij un duplice percorso concentrico e circolare, scrittore in casa e salvatore della sua patria e delle giovani vite dei rivoluzionari quando esce dalle mura domestiche .
Sono passati quasi vent’anni lontano dalla macchina da presa, ora Giuliano Montaldo torna a dirigere un film coinvolgente, che unisce l'impegno sociale e la fantasia.
La difesa del libero pensiero, fino all'esasperazione della libertà delle idee è al centro dell’evoluzione della storia. "Guai ad aver paura delle parole", dice lo scrittore russo.
Il migliore sulla scena è senza dubbio Roberto Herlitzka, che interpreta il ruolo dell'ispettore della polizia politica Pavlovic. L’attore, con algido distacco, coniuga la fedeltà alla Stato alla compassione cristiana. Ed proprio lui a dire la cosa più importante a Dostojevskij: "I vostri romanzi sembrano scritti contro i rivoluzionari, ma in realtà sono più incendiari dei proclami terroristici".
Senza dubbio è positivo lo scopo educativo del film, che mostra, meglio di qualsiasi antologia scolastica, come il vero romanzo sia proprio la vita del grande scritto russo. Ancora più dei suoi romanzi.
Alcuni particolari della storia, come l’incontro con Gusiev sono opera di fantasia, comunque la verità storica di base è mantenuta intatta.
Il film racconta soprattutto la sofferenza , gli amori, il vizio del gioco, la malattia del protagonista, sospeso nel territorio incerto tra sogno e realtà: una vita più avvincente di un romanzo e più sofferta di un dramma. I cinque giorni in cui si svolge la storia riassumono il cambiamento che attraversò la vita dello scrittore, la propria maturazione, la paura di essere stato un "cattivo maestro" per i rivoluzionari, che si ispirarono ai suoi scritti per trasformarsi in assassini.
Il regista lo ha definito un film di passioni. Perché la cosa che più colpisce della vita di Dostojevskij sono proprio le sue passioni, sia politiche sia esistenziali. Così lo spettatore è trascinato tra i dubbi e i rovelli che tormentano la mente di Fjodor Mikhajlovic. Il passato in Siberia, dieci anni trascorsi in dopo essere stato graziato della vita, drammatica esperienza che lo segnerà.
La personalità complessa di Dostojevskij è affidata al bravo Miki Manojlovic. Accanto a lui c’è l’italiana Carolina Crescentini che, per ruolo e sceneggiatura, è costretta a mantenere un atteggiamento estremamente composto e contenuto, penalizzando la recitazione.
L'alternanza delle scene girate in Italia è Russia non è un abbinamento perfetto. Non si vede abbastanza Sanpietroburgo e gli interni, inevitabilmente quelli potrebbero essere girati ovunque.
Le musiche di Morricone sono distratte, quasi assenti e più che un degno accompagnamento del film, ne interferiscono la visione.
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