Cinema

Ritorno all'horror per Pupi Avati

Ritorno all'horror per Pupi Avati

Basta vicende autobiografiche, storie intimiste, racconti di famiglia o di jazz. Deciso a "resettarmi, a scommettere, a rinnovare la mia patente cinematografica", Pupi Avati torna all'antico, alla suspence: il risultato è Il nascondiglio, horror-thriller ambientato nell'inquietante provincia americana, con Laura Morante protagonista, basato sul classico meccanismo della casa (apparentemente?) stregata. "I film di genere sono poco frequentati qui in Italia - attacca il regista, in conferenza stampa - una diffidenza che giudico snob e deleteria"... Ma adesso, a colmare questa vera o presunta lacuna, arriva la sua nuova pellicola, nelle sale da venerdì 16 con distribuzione 01. Che si affianca, tra l'altro, alla Terza madre, attualmente nelle sale, in cui Dario Argento torna all'horror duro e puro. Ma anche per Avati, si tratta di un ricongiungimento con la prima fase della sua carriera: basta pensare a pellicole come La casa delle finestre che ridono. Ma se quella era un'opera giovanile, fresca, nel Nascondiglio l'autore, più maturo e scafato, utilizza tutti i simbolismi e le citazioni di un veterano della macchina da presa. Anche se lui nega qualsiasi influenza diretta di altri film: "La mia ignoranza verso le altre cinematografie è assoluta - sostiene - sono uno spettatore distratto: faccio troppo cinema, per andare anche al cinema. La mia forza, nell'andare avanti in questo mestiere, è dovuta proprio a questa inconsapevolezza". Sarà. Ma resta il fatto che il tema della casa posseduta, abitata da strane presenze, luogo di terrore assoluto e crescente per chi per una serie di circostanze si trova ad abitarla, è tra i più ricorrenti del genere horror. In questo caso, la dimora si chiama Snakes Hall (Residenza dei serpenti) e si trova nella città di Davenport, in Iowa. E' qui che la protagonista - di cui non viene mai detto il nome, interpretata da Laura Morante - decide di vivere, perché decisa ad aprirvi un ristorante italiano. Una scelta a dir poco singolare, visto l'aspetto decisamente sinistro della villa. Ma singolare è anche la nostra eroina: appena uscita da un ospedale psichiatrico, in cui è stata rinchiusa per 15 anni a causa del suicidio del marito, professore sospettato di molestie ad alcuni studenti. E così, inevitabilmente, appena lei si insedia nella casa, assistiamo a fenomeni strani: oggetti che rotolano, movimenti sussultori, e soprattutto una voce che sembra voler dialogare con la nuova inquilina. Così lei comincia a indagare: e scopre che lì, nel 1957, era avvenuto un orribile fatto di sangue. Da qui la sua volontà di scoprire la verità su quegli orrori, tra l'ostilità della comunità locale. Un film che vede la Morante protagonista assoluta, presente in ogni scena - a parte il prologo: "Hanno scelto me come ultima chance, in realtà volevano la Capotondi", scherza lei. Riferendosi, ironicamente, alla giovane attrice più ricercata (e più cattura-incassi) del momento. Poi Laura si fa più seria, spiegando che "non distinguo i film che faccio per genere, ma in base al fatto che mi piacciono. E in questo caso, ho amato la sceneggiatura, il suo rendere l'atmosfera della provincia americana, il pericolo che si nasconde dietro l'apparente normalità. E poi volevo lavorare con Pupi". E sul suo personaggio, la Morante ha le idee chiare: "Io sono stata sempre convinta che sia una donna completamente matta", spiega. Interpretazione avallata, del resto, dallo stesso Avati, che ammette: "Solo una pazza potrebbe pensare di aprire un ristorante italiano, in un posto del genere...". Ma adesso, per l'attrice, arriva - nella vita reale - una nuova sfida: il debutto dietro la macchina da presa: "E' un film di produzione francese - racconta Laura - una commedia che ho scritto, il titolo italiano è Ciliegine: non volevo dirigerla io, ma poi me lo hanno chiesto. L'idea della regia mi fa paura, è una cosa faticosa: io poi sono una vigliaccona, e invece avrò tutto sulle mie spalle... le riprese cominceranno a marzo". Ma la conferenza stampa di un film di Avati non sarebbe tale senza una o più polemiche del regista. Ad esempio, su Cinecittà: "Gli interni di questo film sono girati tutti lì - rivela - ci sono professionalità straordinarie. Negli ultimi cinque anni, io e Antonio (suo fratello nonché produttore delle sue opere, ndr) siamo quasi gli unici ad averci girato film con continuità: il resto è solo tv, potrebbero cambiarle nome in Telecittà. Sembra quasi che vogliano allontanare le produzioni cinematografichem visti i costi proibitivi". Poi gli strali colpiscono anche il movimento Centoautori: "Il fatto che io, uno dei più prolifici registi italiani, non sia stato mai interpellato da loro, è un vero mistero". Fonte: La Repubblica