C’è ancora un’America, ad ovest, a nord, nei suoi imponenti e selvaggi territori, in grado di sfidare l’uomo e farlo riflettere sul significato della propria esistenza. E’ un’America lontana ma raggiungibile, bellissima ma spietata, che un popolo costante nella devastazione e un paio di Presidenti regnanti irriguardosi della sua maestà, Bush senior e Bush Junior, non sono riusciti a scalfire definitivamente. Potrebbe essere questa una delle possibili chiavi di lettura (quella politica fondamentalmente) dell’ultimo film di Sean Penn. E’ la storia di Cristopher McCandless alias Alex Supertramp, dotato studente che si laurea per compiacere due genitori upper-class e che immediatamente abbandona un futuro promettente e agiato per immergersi senza compromessi in una nuova vita “into the wild”. Un gesto estremo soprattutto se contestualizzato ai rampanti anni 90 ed alla smania di “arrivare” che, ad oggi, sembra elemento irrinunciabile al successo di un uomo. Alex lascia in beneficenza i suoi risparmi, 24.000 dollari, distrugge le sue “carte” e inizia un viaggio davvero on the road tra passaggi di fortuna, incontri insoliti ma “formativi” ed eventi in fondo non poi così imprevedibili nei loro risvolti negativi o anche solo problematici. Così Alex incrocia un paio di maturi hippies, un gruppo di allegri agricoltori del midwest, un paio di sciroccati escursionisti danesi nel bel mezzo del Grand Kanyon e un anziano militare in pensione che ha perso moglie e figlio. Sono tutti incontri folgoranti, dove gli “anziani” ricoprirebbero volentieri, e in parte lo fanno, il ruolo genitoriale nei confronti di Alex. L’obiettivo finale per Alex deve essere però, si capisce, un luogo privo di supporti, incontaminato. Sarà l’Alaska, terra indomabile, a fornire al protagonista un confronto “finale”. Il film viene raccontato tra continui flash-back e scatti in avanti, supportato nella sua narrazione da voci fuori campo, ora il protagonista attraverso i suoi scritti, ora la sorella, complice che lo segue attraverso una esile corrispondenza e solo fino ad un certo punto, ora testi letterari, canzoni, come a reggere un’opera che incede nel suo racconto sotto il peso di tante ispirazioni, di tante tematiche… E’ un film indubbiamente coraggioso, che si prende i suoi tempi, incurante di apparire retorico nella bellezza dei suoi paesaggi e nella profondità della suo script, tenace nell’inseguimento fisico-spirituale di Christopher McCandless, incurante del travaglio di montaggio nel quale inevitabilmente incorre andando su e giù per il tempo e lo spazio. Pure è onesto, si avverte, coinvolgente. Quanti non avrebbero voluto essere per un attimo o per davvero Alex Supertramp, quanti non hanno mai pensato che fosse ora di cambiare, sperimentare, ricominciare, misurare il senso di una vita, mandare tutto al diavolo, alzi la mano chi, per una volta….
Dunque Sean Penn si inserisce con titolo sull’onda degli attori che passano dall’altra parte della macchina da presa (già aveva ben figurato in “la promessa”), arricchendo quel vivaio di artigiani-artisti che sostengono il vessillo del cinema americano, nella buona e nella cattiva sorte.
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