Parola d’ordine di Lost: nulla accade per caso. Un attore è un attore, ma quando li vedi da vicino, questi due, non puoi non paragonarli ai personaggi che interpretano nel popolarissimo telefilm. La terza serie che andrà poi in onda su Fox, sarà presentata in anteprima martedì 3 luglio a Roma, al Festival della fiction. Mentre si promettono episodi fino al 2010. Dopo qualche crisi di ascolti, la serie, prodotta dalla Abc, si è di nuovo magicamente impennata. Intanto Henry Ian Cusick (Desmond) e Terry O’Quinn (Locke) si trovano a Londra, più belli che sul video. Sissignori, la tv non solo ingrassa, ma pure imbruttisce.
O forse è colpa di quell’isola inquietante (sarà vera, sarà metaforica, sarà un sogno, sarà l’inferno?) dove i naufraghi si trovano a convivere dopo che l’aereo sul quale viaggiavano è precipitato. Isole misteriose, isole non trovate, Shakespeare e la Tempesta, Robinson Crusoe, Venerdì e il timore dell’ignoto, cielo e mare dappertutto, pericoli, bestie strane, rumori, timori e tremori. Altro che Survivor o Isola dei famosi. La fiction ha la fortuna di possedere una vera sceneggiatura, dichiarata, in grado di mettere in scena l’incubo peggiore di ciascuno. Con dovizia di mezzi, oltre tutto. Già l’episodio pilota della serie costò quasi 20 milioni di dollari, il più costoso della storia della tv americana, il che è tutto dire.
Henry Ian Cusick, inglese, total black, capelli lunghi, nessun orpello, è entrato alla seconda stagione. Nasce attore di teatro, come quasi tutti gli interpreti dei telefilm americani, sarà pure per questo che hanno tanto successo: i protagonisti non sono mai improvvisati. E’ di origine scozzese, ma non possiede il kilt, è quasi astemio «e non sono nemmeno avaro», almeno così dice. Girano in un’isola delle Hawaii, Oahu, «lontana sei ore di volo da ogni altra direzione. Quando arrivo lì, non mi muovo più: io ho davvero il terrore di volare». Guarda gli scherzi del destino: in Lost tutto comincia con lo schianto del volo 815 della Oceanic in viaggio tra Sidney e Los Angeles. «Quando vidi questa serie che nasceva da un disastro aereo mi dissi: questo è il mio posto. E infatti, eccomi qua».
Nel telefilm, lui è un sensitivo in grado di prevedere il futuro: «L’aspetto spirituale, la fascinazione magica dell’isola, attraggono molto il pubblico: però avere questa dote nella vita sarebbe un bel problema». Ma insomma: un personaggio di tanto successo, nemmeno un briciolo di identificazione, solo disincanto? «Questo è un lavoro. Molto importante, ma è un lavoro e basta. Non mi identifico con uno perso in un’isola». E il baldo cinquantaquattrenne Terry O’ Quinn si identifica almeno un po’ in Locke? In fondo è del suo personaggio, grande esperto di caccia, il motto «nulla accade per caso». Anche lui insiste sul «lavoro e basta. Ho un paio di giorni per imparare la parte, è il mestiere che aiuta. Oltre al feeling speciale che ormai ho col personaggio. A un certo punto lo show era in crisi, è vero, ma è stata recuperata la qualità della scrittura e con lei gli ascolti. L’isola è mistica, ma c’è qualcosa di mistico anche nella consapevolezza di essere seguiti da tutti quei milioni di spettatori». Andrà avanti in eterno? «Ci sarà un momento in cui il mio personaggio incontrerà il suo destino». Mistero. Che cosa pensa dei reality? In fondo Lost ha qualcosa di Survivor. «Non mi piacciono e non ci andrei mai. Però provo un certo fascino per Ballando con le stelle e American Idol». Ahi ahi ahi, signor O’ Quinn.
Nella terza serie si capirà qualcosa di più del misterioso gruppo degli «Altri», e una sua parte si svolgerà in una desolata Miami. Era prima? Era dopo? Chi può dirlo. A leggere la trama, sembra tanto di stare dalle parti di una telenovela incrociata con le invenzioni degli autori della Ventura. Invece è una serie da Golden Globe nel 2006, è una felice mescolanza di generi, è avventura, fantascienza, thriller, dramma, è persino umor nero. E’ la tv americana, bellezza, niente va perduto, ma tutto è Lost.