Teatro

Ciità e cultura, armonia infranta

Ciità e cultura, armonia infranta

Il 2007 rischia di essere ricordato come l'anno dell'armonia infranta: l'armonia tra lo slancio culturale e le città che lo hanno favorito. Poi magari non sarà così, ma la minaccia è palpabile. Significativa la frase ormai storica di Sergio Chiamparino: «Tra un asilo e un festival scelgo l'asilo». Non è nata da un improvvido materialismo demagogico del sindaco di Torino, ma dalla constatazione che la cassa piange. E se non ci sono denari, l'unica è stringere la cinghia. Non c'è scampo. Al di là dell'emergenza, il pericolo è che si inauguri un piccolo cabotaggio che poi spedisca in archivio gli sforzi rigenerativi che sono stati compiuti e ancora si compiono: per esempio a Torino come a Milano e come a Palermo. A Torino gli ambienti artistici temono il ripristino della serie A della serie B, vedono l'assenza di programmazione culturale a raggio medio e comprensibilmente tremano. Qui esistono risorse e realtà di assoluta eccellenza, si lanciano nuove strategie culturali, come la rassegna di «Théâtre ouvert», che Elisabetta Pozzi ha varato con un bel successo al Vittoria, come l'attivissima Film Commission, come il nuovo corso del Film Festival affidato alle cure di Nanni Moretti, come il Museo del Cinema che nel 2006 ha segnato uno straordinario afflusso di visitatori (535 mila). E la scossa di Milano? La città sembrava anestetizzata. Ora ha ritrovato impeto. E' nato un nuovo, sofisticatissimo polo teatrale affidato alla gestione dei Filodrammatici e lo stesso Piccolo Teatro, in occasione dei sessant'anni, si è dato un nuovo impulso. Ha creato, sull'esempio del Centro Studi del Teatro Stabile di Torino, il Centro Europeo di Documentazione Teatrale e ha premuto l'acceleratore su quelle iniziative collaterali che contribuiscono a definire un'identità: le letture poetiche del Novecento nate per iniziativa di Giovanni Raboni e poi, in collaborazione con il Touring, l'inaugurazione di una serie tra viaggio e letteratura dedicata ai grandi alberghi del mondo, per esempio l'Algonquin di New York, rifugio di letterati tra le due guerre, quartier generale di Dorothy Parker, la cui figura il teatro di Sergio Escobar e Luca Ronconi riporta alla luce. E la «Palermo Renaissance»? Ecco un caso vistoso di rigenerazione nel segno della cultura. Musei nuovi che si aprono, tesori d'arte che vengono dissepolti, interi quartieri a cui viene restituita l'antica dignità, poli artistici il cui fervore proietta la città in un clima di «factory» continentale. Sarà significativo ricordare, per esempio, che le letture dantesche nelle chiese e nei teatri sono nate qui prima che diventassero di moda. E non sarà inutile dire che, come ai tempi romantici del Grand Tour, Palermo è nuovamente meta di scrittori e artisti che per essa lavorano. Pensiamo a Giovanni Raboni, a Mario Luzi, a Dacia Maraini e, più in là nel tempo, a Carlo Levi, che qui meditava di impegnarsi in un'attività teatrale verso la fine degli anni Cinquanta: preparava la riduzione teatrale di Le acque di Beniamino Joppolo e scriveva un libro sulla città, il cui manoscritto gli venne però rubato. La notizia è emersa qualche giorno fa in un convegno che lo Stabile di Palermo ha dedicato all'autore di Cristo si è fermato a Eboli. Tutto ciò non nasce, né potrebbe, dall'iniziativa dei singoli talenti. Tutto ciò è favorito dal contesto, obbedisce ai progetti delle amministrazioni e alla loro volontà creativa che, pur non ignorando il budget, ne sappia sfruttare i limiti. Da Nord a Sud. Fonte: la Stampa