Cinquemilacinquecento abbonati; quattrocentocinquanta soci e sponsor privati; centoventi posti di lavoro. Ancora qualche cifra, nella loro utilmente noiosa verità: duecentoventi concerti l’anno, come nessun’altra orchestra a Milano; un contributo pubblico che non arriva al 7% del bilancio: il resto sono ricavi propri, e anche questo è un primato, non solo cittadino. Nonostante un realtà che è difficile non definire virtuosa, l’Orchestra Verdi di Milano sta fallendo: ha troppi debiti. Da tempo non paga i propri dipendenti: da 4 mesi gli orchestrali, da 8 il personale amministrativo e tecnico, e nessun dirigente è scappato con la cassa. Fosse una fabbrica, ci sarebbero i picchetti ai cancelli e le tende in Piazza Duomo.
Da più tempo ancora non viene pagato l’affitto al proprietario dell’Auditorium lungo i Navigli dove la Verdi ha sede dal 1993, da quando è nata, decidendo di abitare in uno storico luogo di spettacolo milanese: qui prima sorgeva il Teatro Massimo, qui venne ospitata anche L’opera da tre soldi nella regia di Strehler.
Questa mattina, alla conferenza stampa convocata in città, i ragazzi della Verdi e il loro direttore generale, Luigi Corbani, racconteranno la particolare vicenda di un’orchestra che forse proprio per i suoi indubbi successi artistici, la serietà del lavoro svolto, la fiducia data ai giovani (l’età media dei musicisti è di 34 anni), la costante ricerca di nuovi interpreti di qualità, il limite imposto ai compensi dei solisti e dei direttori invitati, e dunque per una marcata indipendenza, non ha mai avuto rapporti eccellenti con gli amministratori pubblici: «Mi sento sempre ripetere che non ci sono soldi - racconta Corbani - eppure pochi giorni fa il Comune ha deciso un contributo di 3 milioni di euro per il Festival MITO di Settembre, dal quale tra l’altro siamo esclusi. Adesso, i rapporti con la Scala sono buoni, rivalità in città non ne abbiamo, siamo l’unica realtà sinfonica che lavora con continuità: perché dobbiamo morire? In queste condizioni, non siamo in grado di programmare la prossima stagione». Dopo l’uscita di scena nel 2005 del maestro Riccardo Chailly, che a lungo - succedendo a Vladimir Delmann e ad Alun Francis - ne aveva tenuto la direzione artistica, la Verdi non ha perso pubblico né abbonati, non ha ridotto la propria offerta di concerti. Forse Milano considera un’orchestra sinfonica stabile un lusso, e dopo la chiusura dell’orchestra Rai assisterà anche a questa mutilazione?
Risposero naturalmente di no i tanti politici convocati proprio in questo Auditorium nel febbraio 2006, quando bruciava fresca fresca la ferita del taglio, deciso dall’ultima finanziaria Tremonti, al fondo dello spettacolo. E qui inizia l’aspetto paradossale della vicenda: l’allora ministro dei Beni Culturali, Rocco Buttiglione, promette un contributo straordinario di un milione di euro; il nuovo ministro, Francesco Rutelli, lo conferma, però lo riduce della metà. Ma nemmeno questa metà è arrivata alla Verdi, perché la Corte dei Conti ha rivolto un formale quesito al Ministero: come posso dare l’assenso ad erogare metà di un contributo che avevo già formalmente stabilito di concedere per intero? Franz Kafka avrebbe saputo raccontare magnificamente la vicenda.
«Le chiediamo un contributo per consentire una prospettiva alla nostra orchestra; non di ripianare i debiti accumulati, causati dalla scarsità dei contributi pubblici, non certo da una gestione disattenta all’entità dei costi: in questi anni, è la Verdi che ha contribuito alle casse dello Stato, non viceversa», è scritto nella lettera-appello inviata all’attuale Ministro e sottoscritta già da cinquemila cittadini. A metà maggio sono in programma i concerti conclusivi della stagione in corso. L’ultima?
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