Salzburg, Haus für Mozart, “Rusalka” di Antonín Dvořák
Rusalka sui tacchi
Rusalka, la penultima opera di Dvořák, composta all’apice della carriera del compositore, è insieme alla Sposa Venduta di Smetana l’opera ceca di maggior successo. Momenti altamente drammatici, effusioni liriche, melodie della tradizione popolare si innestano in un ricco tessuto sinfonico che fonde elementi classici a estetica wagneriana. Rusalka, spirito dell’acqua che per amore di un principe aspira a sembianze umane con tragico epilogo, è l’essenza della mitologia slava e il libretto scritto dal poeta Jaroslav Kvapil basato su fiabe popolari e influenzato dalla Sirenetta di Hans Christian Andersen e dalla Undine di La Motte Fouqué è particolarmente poetico e delicato.
Ma Jossi Wieler e Sergio Morabito, i due irriverenti registi della nuova produzione andata in scena a Salisburgo, negano ogni componente magico-fiabesca e conducono Rusalka in un mondo sordido, umano, troppo umano, che ha l’aspetto di un triste bordello dell’est. La scena di Barbara Ehnes è costituita da una piattaforma girevole divisa in due da una parete curva con una tenda di velluto rossa drappeggiata che mette in comunicazione i due mondi. Il lago delle ondine è un salotto equivoco e kitsch dai divani di vernice, luci rosse, tavolini dorati le cui gambe hanno fattezza da sirenetta come la fontana al centro, un souvenir di cattivo gusto. Le ondine-lolite sono adolescenti torbide dal trucco pesante e i tacchi troppo alti che danzano in abiti trasparenti, agitando i lunghi capelli con movenze maliziose. Rusalka si trascina goffamente sul pavimento con le gambe fasciate da un velo sbattendo una coda da sirena, una triste e ingenua bambina che canta l’invocazione alla luna stringendo forte l’orsacchiotto al petto per la paura di crescere e amare, mentre sulle pareti sfilano video verdastri di gigantesche meduse e inquietanti pesci lacustri. Nessuna luna, è ovvio. Divenuta donna, Rusalka barcolla su tacchi vertiginosi più attratta dalle gambe nuove che dal volto del principe. Una bambola impacciata e muta vestita da sposa dalla danza sgraziata che si rotola poi per terra sotto gli occhi allibiti degli invitati trascinando anche il principe in una danza a gambe all’aria, regressione infantile per lei, appagamento sessuale, umiliante e assurdo, per lui. Diversamente al libretto, Rusalka si suicida e anche il Principe, sempre più annichilito, contratto e convulso, si dà la morte con un bacio di ghiaccio. E l’indifferenza di un bacio privo di qualsiasi trasporto nel momento clou dell’opera rende l’essenza di Rusalka, né donna, né ondina, né viva, né morta.
La produzione presenta una chiave psicanalitica possibile (la fanciulla che vuole passare all’età adulta e rompere il rapporto edipico con il padre) e colpisce il lavoro svolto sui personaggi, ma risulta riduttiva per la mancanza della natura, del sogno e della poesia, così presenti nella musica e nel libretto.
Camilla Nylund, dichiarata indisposta per una laringite, ha comunque sostenuto la parte protagonista con ottimi risultati. La voce intensa e vibrante compensa con l’espressività suoni non sempre rotondi, ma è soprattutto la capacità di rendere l’evoluzione psicologica e il mutare degli stati d’animo, di far sorridere e piangere, da rendere così commovente la sua interpretazione.
Piotr Beczala è un Principe perfetto, bella voce lirica, luminosa e solida, dal registro acuto sicuro fino alla fine. La resa vocale va di pari passo con quella interpretativa: slancio, lirismo, disperazione, attenzione alla melodia slava e alle parole che suonano dolci e malinconiche rendono un personaggio sfaccettato e sofferto.
Alan Held dona voce autorevole a Water Goblin, il padre - magnaccia che si trascina con le pinne mozze o che in lisa vestaglia e ciabatte scola birra per dimenticare, un Wotan derelitto che stringe con edipica tenerezza mista a disperazione la figlia morta o addormentata.
Brigit Remmert è una Jezibaba di timbro scuro con bei gravi ma acuti faticosi, vecchia maitresse zoppa, laida e sgradevole, feticista del piede che lustra scarpe dal tacco alto tenute gelosamente in una vetrina, lubrica e ironica quando cerca di iniziare al sesso anche lo sguattero pauroso impersonato con voce argentina dall’ottima Eva Liebau mentre lo zio guardacaccia (il bravo Adam Plachetka) aspetta sui sofà seduto fra le Lolite. Emily Magee è una Principessa velenosa e implacabile che riesce a imporsi anche per la voce sopranile piena. Particolarmente adatte al ruolo le tre ondine, rispettivamente Anna Prohaska, Stephanie Atanasos e Hannah Esther Minutillo.
Ottima la direzione di Franz Welser –Möst , chiara ed elastica, che imprime grande tensione alla partitura con attenzione ai colori e a fare scaturire il dramma senza indulgere in un facile melodico. La ospite Cleveland Orchestra rivela una suono impeccabile e brillante, pieno di carattere, talvolta forte, ma che non copre i cantanti.
Ed è soprattutto per la straordinaria riuscita musicale e all’intensità degli interpreti che il pubblico applaude convinto.
Visto a Salzburg, Haus für Mozart, il 28 agosto 2008
Ilaria Bellini
Teatro