Prosa
CALIGOLA

CALIGOLA E’ VIVO AL TEATRO DELLA TOSSE

CALIGOLA E’ VIVO AL TEATRO DELLA TOSSE

È stato via 3 giorni e 3 notti.”

Caligola ritorna.

Ritorna sempre.  E, appena arrivato, si guarda allo specchio.

La certezza di esistere. Esistere, con noi: un pubblico di cui ha “tanto bisogno.

Gli “…occorre il mondo, e spettatori, vittime e colpevoli.”

Questo mondo è senza importanza e se lo riconoscerete sarete liberi”.

La “libertà” per Caligola che vuole la luna è l’impossibile. Si sfarinano idealismi, complotti, lotte e rivoluzioni. Tutto si presenta inutile di fronte al fine ultimo della vita, irreversibile: la morte.

Caligola fa un mondo a modo suo.

Ne escono meschini, perdenti e subdolamente dannosi i Senatori del tempo e quelli di tutti i tempi, meschino e limitato chiunque lo circondi. Mossi tutti dalla paura e mai da un pensiero “logico”. Gli uomini: vigliaccamente respirano e si esprimono in cerca di piccoli rimedi e le parole di Camus di minuto in minuto spazzano via e fanno cadere  a pezzi le esistenze. Si disfa il senso comune del vivere e la affannosa ricerca di felicità. Ogni senso si rappresenta in un non senso.

Caligola durante i suoi 29 anni di vita adottò una politica di assolutismo con l'intenzione di diventare un Sovrano cui si rendevano onori divini, quasi sul modello delle monarchie orientali.

Il testo teatrale di Camus è incentrato sul delirio del potere. Venne rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1945. Ma l’autore lavorò a quest’opera circa 20 anni, sino ad un’ultima elaborazione datata 1958. La prima viene spesso rappresentata, l’ultima è stata protagonista della scelta del regista Emanuele Conte. Quindi vediamo in scena un Camus raro: frutto di anni di revisione da parte dell’autore.

Questo Caligola al Teatro della Tosse viene rappresentato nella traduzione del Professore Andrea Bianchi, mentre ne veste la giacchetta da sovrano l’attore Gianmaria Martini. Bravo interprete che sa cogliere passaggi e sfumature di quella “follia lucida”, il peso della storia tradotto in peso dell’esistenza da parte di un uomo che ancora una volta ha potuto e voluto decidere della sorte degli uomini. E’ una sorte di supervisione che governa la mente dell’insolito, ma poi non molto, sovrano. La percezione del destino dell’esserci legato al non esserci spadroneggia e confonde, promuove una nuova e unica libertà, l’unica possibile: quella individuale. Va oltre l’anarchia e diventa “giudizio” inutile. Come se la vita fosse inafferrabile e l’unico modo per possederla ne diventasse la morte. Rende libera la libertà nella massima e finale decisione: uccidere.

Il gioco di un ragionamento logico persiste per tutta la trama e scorre rimbalzando su gli altri personaggi mirabilmente interpretati e non è tanto per dire: ognuno disegna la sua “figura” di esistenza precaria paurosa tremante o limitatamente scaltra da Viviana Altieri a Giovanni Serratore, Pietro Fabbri, Yuri D’Agostino, Marco Lubrano, Alessio Aronne. Ma questa versione del ’58 approfondisce la filosofia dell’opera e il profilo di Caligola con figure portanti come il personaggio di Cherea interpretato con grande peso scenico da Enrico Campanati  che affronta Caligola offrendo al dialogo profondità di indagine filosofica, respiro esistenziale al pensiero del sovrano al suo agire. Così come la figura del Poeta, espressa con talento in una forza delicata mossa dall’incisivo giovanissimo Luca Terracciano che si pone in scena come un gentile confine sul quale sta ritta la poesia.

E’ una macchina di sterminio la macchina della vita. Sputa la ferocia delle sue contraddizioni, e puzza la storia sotto la formalità di testi scolastici ben confezionati per uno sconto dal buonismo di cartolina. Un dramma continuo messo in risalto da un concetto egocentrico totale che risulta amaramente attuale. Illusorio il vivere che si dissolve e pare in fondo solo un grande effetto nervoso: ride Caligola assassinato e piange e ritorna allo specchio per urlare “sono ancora vivo”.

Ci sarà sempre e sarà noi, Caligola di ogni tempo, feroci manierati benpensanti.

Camus prendendo in esame un protagonista della storia ha scelto chi per un attimo ha sentito lo scorrere di una dirompente  forza individuale che fa di un essere umano semplicemente e miseramente sempre un pazzo, senza possibili altre “logiche interpretazioni” che sfuggano a quelle follia. Lì sbalorditivo specchio di bestia pensante che guarda e agisce la sua ferocia al cospetto della quale si sgretola il sapere in paura e confusione comune.

Emanuele Conte è forte quanto Caligola e cupo in ogni suo incisivo disegno registico quanto la notte perenne dell’umanità. La sente. La conosce e la porta in scena ogni volta: la nostra notte. Il nero e il bianco ritornano, sono il fondo di preferenza su cui semmai guizzano a volte rari colpi di colore, visioni inafferrabili. E dallo scuotersi delle parole affiorano musiche che cuciono la scena alle giacche degli spettatori.

Il potere e la ribellione in scena alla Tosse con Caligola a fare pensare se veramente il vivere non sia una follia di cui solo pochissimi si rendono conto e che il riconoscerla non porti mai alla guarigione.  La guarigione resta una parola che sguscia sino alla morte.

E non guarirebbe oggi  Caligola con 20 gocce di Xanax. Il problema non sta in una calma apparente, ma in un impossibile senso della vita. Da cercare sempre con impellenza, tanto per esserci. Forse.

Un grande testo che pone la mente al limite di un baratro e ce la lascia per tutto lo spettacolo.

Attualità di testo, di pensiero, di linguaggio, di sentire, di perenne parola: tracce di dubbia  certezza di esistenza.

Questo teatro fatto prevalentemente di giovani in scena è un grande esempio per i ragazzi che  non portano a casa un pezzo di storia, un autore, un fatto letterario, un voto, un plauso ma uno specchio con scritto un concetto filosofico su cui meditare per la vita.

Al Teatro della Tosse fino al 26 ottobre.

 

Visto il 16-10-2014
al Della Tosse di Genova (GE)