L’Istituzione Universitaria dei Concerti festeggia quest’anno la settantesima stagione. Il concerto inaugurale ha visto sul palco l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, sul podio e al pianoforte Alexander Lonquich, un beniamino del pubblico romano presente spesso nei programmi delle diverse istituzioni. Musiche di Haydn e Mozart, che sottolineano il passaggio dallo stile galante settecentesco alle tensioni preromantiche e che preludono al sinfonismo beethoveniano.
Haydn non ha mostrato nella sua produzione un particolare interesse per le tastiere, il Concerto in re maggiore per pianoforte e orchestra rappresenta una felice eccezione; il primo tempo esprime un’atmosfera festosa e solare, con una cadenza dolcissima scritta dallo stesso Haydn, il secondo tempo, un poco adagio, ci porta allo stile galante tipico dell’epoca mentre il Rondò all’ungherese con il suo ritmo spumeggiante cita le danze popolari della terra in cui a lungo operò. Il ruolo del pianoforte è quello del protagonista, l’orchestra supporta e sottolinea, talvolta propone temi, ma la scrittura pianistica si impone e rende la cifra brillante dell’opera. La complicità tra l’orchestra ed il solista è enfatizzata dalla direzione di Lonquich che assegna il giusto rilievo ai diversi ruoli.
Ancora di Haydn è stata presentata la Sinfonia n. 83 in sol minore “La Poule”, un’opera del periodo parigino, ricca di suggestioni preromantiche a partire dal cupo e stentoreo incipit. A sorpresa intervengono poi quasi in sottofondo temi forse umoristici (tra cui il verso della gallina del titolo) che contrastano e si alternano con la ricchezza dei materiali e le inattese esplosioni in stile “mozartiano”. L’orchestra, disposta con una simmetria inconsueta con i violini disposti a destra e a sinistra mentre viole e violoncelli sono al centro, rende bene i contrasti e si esprime al meglio nel sognante e cantabile Andante.
La seconda parte del concerto è stata riservata a un monumento del genere, il Concerto in do maggiore K 503 di Mozart. Siamo in presenza di un pezzo ricchissimo di materiali e di invenzioni, uno dei tanti doni che Amadeus ha voluto lasciare ai posteri. La festosa tonalità di Do maggiore caratterizza un periodo di felicità creativa ed esistenziale e trasmette all’ascoltatore una voglia di partecipazione ed un’attenzione dinamica paragonabile a quella delle quasi contemporanee produzioni teatrali quali Le nozze di Figaro e Don Giovanni. E’ un concerto “sinfonico” in cui il pianoforte sembra affacciarsi timidamente dopo la lunga introduzione orchestrale, da questo punto non c’è una distinzione gerarchica tra pianoforte ed orchestra, i ruoli sono paritari, realmente “sinfonici”. L’esposizione dei temi passa alternativamente a entrambi i protagonisti in un dialogo che non lascia vincitori. Tra le numerose sorprese e invenzioni si ricorda l’apparire del tema della Marsigliese (peraltro non ancora scritta) che il pianoforte smonta e rimonta inseguito dall’orchestra in quella che sembra una vera e propria azione teatrale.
La sapienza di Alexander Lonquich come pianista e come direttore, ben assecondato da un’Orchestra di Santa Cecilia duttile e precisa, è stata giustamente apprezzata dal folto pubblico dell’Aula Magna della Sapienza che ha lungamente applaudito i protagonisti, i quali hanno ripagato con due bis, di nuovo Mozart e un rarefatto Debussy.