Comico
D'ORA IN POI - COME SAREBBE SE FOSSE DIVERSO?

Le nostre scelte, i nostri at…

Le nostre scelte, i nostri at…
Le nostre scelte, i nostri atteggiamenti, i nostri gusti e le nostre decisioni sono quotidianamente orientati, in maniera più o meno consapevole, da modelli di riferimento ben determinati, la cui azione, al pari di un archetipo paradigmatico che si stagli come un polo magnetico nel quadro astrale della nostra incerta e mortale ventura, ci volge la rotta in un senso piuttosto che nell’altro. I maestri, tali perché distintisi per altezza di virtù o sproporzionata aberrazione, incommensurabile ingegno o inusitata lungimiranza, sono punti di riferimento indelebili, prototipi comportamentali ideali in confronto ai quali è possibile misurare tutte le dinamiche esistenziali e relazionali proprie del corpo sociale in cui viviamo, dal momento che si candidano ad essere immagini forti e ricorrenti, presenti ad un grado superiore nell’inconscio collettivo dell’umanità. La messinscena della giovane regista Carolina Della Salle Casanova, che è anche l’autrice del testo, partendo da riflessioni e speculazioni circa l’universalità e l’esemplarità del ruolo del maestro, intende investigare proprio il rapporto tra immaginario soggettivo, collettività e specificità del segno strutturante, presentando sulla scena un personaggio, Max Stella, che si propone come ultimo e decaduto campione di quella esaltante genìa divina che accoglie in sé tutti i più grandi maestri della cultura occidentale, da Baudelaire a Kerouac, da Joseph Roth a Kurt Cobain, passando per Marylin, Van Gogh e Marco Pantani. La pièce della Casanova inizia, è d’uopo dirlo, alimentando le migliori aspettative, infatti, con nostra grande sorpresa scopriamo che il ruolo del protagonista Max Stella è interpretato nientemeno che da Paolo Rossi, la cui presenza in incognito, benchè ci lasci qualche comprensibile perplessità (perché è in incognito? perché non inserire il suo nome sui manifesti?), ci predispone senza dubbio in modo assai favorevole nei confronti dell’intera operazione. Invece, e qua iniziano le note dolenti, la verve di Paolo Rossi, che sembra esprimersi più in termini di energia pura che di consueta e preferibile vis sulfurea, non riesce a dare alcuna robustezza drammaturgica allo spettacolo, anzi sembra quasi dilatare in sterili gigionerie da istrione l’idea, non originale per intuizione né organica nello svolgimento, da cui si sviluppa l’intera rappresentazione. Gli attori, tutti molto bravi e sostanzialmente affiatati nell’organizzare la propria azione scenica intorno alla vulcanica creatività del comico lombardo, cercano come possono di comunicare il disagio di una generazione, la nostra, ormai orba di veri maestri, ma cozzano, purtroppo, contro la disperante ovvietà di un testo sostanzialmente adolescenziale che abbina un sensibile grado di retorica ad un qualunquistico (malinteso?) tentativo di risolvere i conti aperti dai giovani d’oggi con un passato impegnato e meravigliosamente engagé mercé lo scanzonato ed ebbro funerale di un cialtrone/intellettuale (Max Stella, appunto) la cui emblematica morte (metafora di un’auspicata fine delle ideologie? Metafora di un odioso venir meno delle idee? boh...) si trasforma in un allegro e superficiale cupio dissolvi che lascia nello spettatore attento la radicata sensazione di aver assistito ad una messinscena ambiziosa ed irrisolta, il cui messaggio, offertoci alla stregua di una verità altra e piena d’attrattive, non è affatto originale, così come non sono originali, dalle nostre parti, le congetture prevedibili e banali dei pensatori improvvisati e privi d'umiltà. Napoli, Nuovo Teatro Nuovo, 31/10/2008
Visto il
al Nuovo di Arcore (MB)