Spoleto (PG), teatro romano, "Concerto inaugurale" di Gian Carlo Menotti
Spoleto (PG), teatro Nuovo, “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini
IL MAFIOSO GIANNI SCHICCHI
Interessante inaugurazione al Festival di Spoleto con Gianni Schicchi e un concerto di musiche di Giancarlo Menotti, le cui pagine sono equidistanti fra le avanguardie e la tradizione ma con una maggiore propensione ad occhieggiare alla seconda, ricreando, con sottigliezza e un pizzico di umorismo, atmosfere pucciniane.
Il concerto, tenuto al teatro romano, si è aperto con “Amahl e gli ospiti notturni”, opera televisiva scritta nel 1951 su commissione della NBC in occasione della sperimentazione del colore, pensata appositamente per la notte di Natale. Nell'introduzione gli archi sondano diverse profondità, lasciando trasparire a tratti il pianoforte; la marcia è segnata dai fiati sugli archi pizzicati, oboi e contrabbassi a fare da contrappunto, mentre la danza ha momenti di ampio respiro mattutino ravvivati dall'uso del tamburello. Le molte citazioni impongono riserve musicologiche che però non impediscono di ascoltare con piacere, quasi con felicità, accresciuta dalla bellezza del luogo al momento del crepuscolo, con l'impressione che a Spoleto il tempo si sia fermato a un'epoca imprecisata.
Il secondo brano è la suite dal balletto Sebastian (1944), prima prova nel genere coreutico di Menotti, la cui azione si svolge a Venezia nel Seicento. Gli archi alternano arcate a pizzicate, in lontananza le campane creano l'atmosfera lagunare; lunghe arcate dominano una melodia orecchiabile come una colonna sonora da film che poi si tinge di scuro nei movimenti veloci dei violini accompagnati dai fiati; eterogenei gli apporti, percussioni, piatti, arpa, tamburi, pianoforte e campane: una scrittura orchestrale giocata sui contrasti e sul continuo frastagliarsi della dinamica.
Ultimo brano il preludio orchestrale di Amelia al ballo, primo successo operistico di Menotti ed una delle sue più felici creazioni. L'opera, in un solo atto, è centrata sulla figura di una giovane dell'alta società annoiata ed interessata solo ai balli. L'atmosfera è sofisticata, l'occhio del compositore guarda quella società con una curiosità non scevra di ironia critica. Dei tre brani eseguiti nel concerto questo è il primo in ordine cronologico e vi si ravvisano con chiarezza i caratteri del linguaggio che nella produzione successiva troverà compiuta espressione: una melodia di immediata comunicabilità, una intelligente scrittura musicale ecletticamente improntata a moduli operistici precedenti, in particolare ottocenteschi e pucciniani (ecco il collegamento con Gianni Schicchi), continuando la tradizione del verismo e la leggerezza descrittiva di Prokof'ev.
James Conlon dirige con padronanza e raffinatezza e ottiene dall'Orchestra sinfonica di Milano Giuseppe Verdi un suono omogeneo e bilanciato, seppure permangono dubbi sull'acustica del teatro romano per la musica sinfonica, in quanto il suono è rimandato in modo differente dalle volumetrie vuote e piene degli edifici alle spalle della scena.
A seguire Gianni Schicchi al teatro Nuovo, nell'allestimento di Woody Allen per l'opera di Los Angeles, che ha segnato il debutto di Allen nella regia lirica, chiamato dal direttore del teatro Placido Domingo (la regia degli altri due pannelli del trittico, il Tabarro e Suor Angelica, era affidata in California a William Friedkin).
Lo sguardo del regista è cinematograficamente neorealista, tanto che in apertura scorrono titoli di testa di un film con improbabili personaggi (sceneggiatura di Vitello Tonnato), i cui nomi sono giocati sul doppio senso, anche greve. La scena fissa di Santo Loquasto, giocata sul bianco e nero che ben si adatta al neorealismo, presenta un interno molto teatrale, sovraccarico di oggetti e improntato su un doppio piano raccordato da scala a chiocciola; l'edificio è bombardato e sbrecciato, situazione dell'immediatezza post-bellica: lo sfondo è una foto con il profilo inconfondibile di Firenze, ma l'atmosfera è tipicamente napoletana, con quei panni stesi sui fili che corrono in ogni parte. I costumi, sempre di Loquasto, declinano in differenti fantasie la monocromia bianco-nera, contribuendo a un risultato di grande forza teatrale.
Quindi non c'è più la Firenze del Duecento ma la Napoli del Novecento (per la precisione 1946, come si sottolinea al momento del testamento), che ci potrebbe anche stare, se non fosse per quei nomi di luoghi di proprietà di Buoso indubbiamente toscani. Allen sottolinea gli spunti divertenti del libretto e propone una narrazione dal robusto passo teatrale, giocata sulla spontaneità espressiva ma che calca troppo sugli stereotipi che gli americani vedono negli italiani, evidentemente ancora oggi. Così Schicchi è un mafioso dai capelli nerissimo come i baffoni e dal gessato a rigoni con camicia aperta sulla collana vistosa; Lauretta è una pupa dal seno generoso, sottolineato da un abito sottoveste con lungo spacco su calze autoreggenti; Zita è come la protagonista di “Sabato, domenica e lunedì”, una donna di casa in grembiale e scarpe basse; Nella ha la veletta nera in testa ed è tarchiata, invece la Ciesca è una pupa bionda slanciata e sexy.
Lascia perplessi il finale, dopo l'apologo rientra in scena Zita che accoltella a morte Schicchi, mentre di sopra Lauretta e Rinuccio si lasciano prendere dalla foia della pulsione erotica.
Curiosi i dettagli ironici (“i testi videro” ma il calzolaio-testimone è cieco) che attenuano alcune incongruenze.
James Conlon dirige l'Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi con coerenza e compattezza, ottiene suoni leggeri ma non scontati, tralasciando ricami strumentali. Il ritmo imposto dal direttore è fluido e sostiene i cantanti e l'orchestra lo segue con convinzione nel rendere una tinta elegiaca ammantata di realismo.
Sir Thomas Allen è uno Schicchi mafioso, più minaccioso che ironico; Allen trova le giuste sfumature e i diversi accenti richiesti dal ruolo; il fraseggio non è nitidissimo ma pieno di spirito e vivacità, sottolineato da una recitazione “caricata” come richiesto dalla regia. Laura Tatulescu è una Lauretta pericolosamente avvenente, irresistibile nel look dell'abito sottoveste con vertiginoso spacco sulle calze con riga posteriore, una Lauretta non certo ingenua e verginale che spinge ad abbracci focosissimi il timido ed imberbe Rinuccio; “O mio babbino caro” è cantata con giusti accenti e grande ironia nello strizzare l'occhio all'innamorato per ingannare il padre. Stephen Costello è un Rinuccio carino e teen ager, un po' bamboleggiante, irretito dalla carica sensuale dell'esperta Lauretta; la parte tenorile è ingrata, falsamente semplice quando invece “Firenze è come un albero fiorito” difficilissima, ma la voce è ingolata e gli acuti brevi e compressi e l'aria risulta debole, anche se il tenore ne rende il carattere di stornello improvvisato e non il solito proclama turistico; Costello non è aiutato dalle evidenti difficoltà di pronuncia. E le difficoltà di pronuncia sono anche il punto debole del folto stuolo della parti di fianco, in realtà tutti protagonisti in quest'opera corale. I cantanti sono affiatati, basta ascoltare il larghetto delle tre voci femminili durante la vestizione di Schicchi, ma l'italiano è pessimo e ciò è evidente in parti costruite sulla parola e sulla esatta articolazione di ogni fonema all'interno delle stesse parole, storpiate oltre ogni misura. Jill Grove è Zita popolana, Gregory Bonfatti è l'interessato Gherardo, Rebekah Camm è Nella con veletta scura e fisico robusto, Steven Condy è Betto grasso e sgraziato, Mario Luperi è Simone (altissimo e lui sì molto bravo), Brian Leerhiber è Marco gangster, Laureen McNeese è la Ciesca bionda platinata. Con loro Andrea Porta (Maestro Spinelloccio), Matteo Peirone (Ser Amantio), Giacomo Medici (Pinellino), Roberto Gattei (Guccio) e il figurante Carlo Borgotti (Buoso Donati); Erik Anderlini e Denis Scoppetta si alternano come Gherardino, vorace ed insaziabile mangiatore di spaghetti.
Pubblico divertito e plaudente, in attesa degli altri eventi che si terranno nei vari luoghi della città, uniti da un lunghissimo nastro di plastica rosso.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Nuovo Gian Carlo Menotti
di Spoleto
(PG)