Lirica
LE GRAND MACABRE

Roma, teatro Costanzi, “Le gr…

Roma, teatro Costanzi, “Le gr…
Roma, teatro Costanzi, “Le grand macabre” di György Ligeti LA BAMBOLA ALLA FINE DEL MONDO L'aspetto determinante della produzione della maturità di Ligeti, dopo il periodo legato a composizioni piuttosto statiche, è all'opposto basata su una mobilissima e frantumata “micropolifonia” (come lui stesso la definì). I lavori degli anni Settanta segnano poi una ulteriore svolta nella sua produzione e Le grand macabre è emblematica per la destrutturazione del linguaggio precedente e, al tempo stesso, la costruzione di un nuovo linguaggio che attinge ad altre eteronome sonorità, creando una rete fittissima di linee polifoniche intrecciate in modo inestricabile e variegato, con rimandi a un'infinità di suggestioni sonore precedenti, in senso retrospettivo. Infatti la musica di cui Ligeti riveste questa tragicommedia sulla fine del mondo è, a sua volta, una specie di fine del mondo musicale, in cui confluiscono le strutture più disparate della musica strumentale e vocale, come in attesa di una definitiva resa dei conti anche in campo musicale. Il testo assurdo del libretto, che lo stesso compositore ricavò dalla ballata di Michel de Ghelderode, sembra prendere fuoco a contatto con la musica e, nelle mani della Fura dels Baus, rivela tutta la sua potenzialità teatrale. I Fureri si confermano maestri nelle proiezioni video, negli effetti luce, nella robotica che sorprende e coinvolge. Qui hanno lavorato Alex Ollé (ideazione e regia, con la collaborazione di Valentina Carrasco), Alfons Flores (scene), Lluc Castells (costumi), Peter Van Praet (luci) e Franc Aleu (video). Un video proiettato sul sipario mostra una giovane svestita che si ingozza di cibo, in un trasandato appartamento dove campeggiano ovunque resti di abbuffate e cicche di sigarette. La donna si sente male e l'alzarsi del sipario svela una enorme bambolona nuda con i suoi tratti somatici. La bambolona è accovacciata, muove gli occhi, rotea la testa (a tratti in pose innaturali), esibisce una lingua inquietante, ruota su sé stessa, offrendosi agli spettatori impudicamente e ironicamente. I personaggi si muovono principalmente intorno a lei, ma anche sopra e dentro, entrando o uscendo da ogni possibile orifizio. Quel corpo monumentale, esibito senza pudori, anche nelle viscere, non consente dubbi: il giudizio universale al centro dell'opera è un fatto non spirituale ma di prepotente e quasi insopportabile fisicità: il disfacimento corporeo rapidissimo (il coprirsi di rughe o lo scheletrizzarsi del corpo sono tra gli effetti migliori) ed il tornare nelle sembianze iniziali sono la parabola dell'umanità. La bambolona lancia un urlo silenzioso, ma la farsa surrealista alla base del libretto (che proviene da un'antica leggenda popolare fiamminga) spinge verso il divertimento e l'irriverenza. E nella sostanza la bambola è un po' l'essenza dell'opera, tutta fondata sull'ambiguità dell'essere e dell'apparire, dove ogni cosa è falsa ma potrebbe essere al tempo stesso tremendamente vera (il finale rimane aperto: troppo sesso, troppo alcol e troppo divertimento svelano la vera natura di ciarlatano di Nekrotzar). Ottima la direzione di Zoltàn Peskò, che tiene in mano orchestra, coro, solisti e altri cantanti/musicisti sparsi fra retropalco, platea e palchi, con un risultato è di grande precisione e nitore. Ligeti insiste sulla musicalità intrinseca delle articolazioni fonetiche ed i cantanti sono tutti ottimi, anche dal punto di vista di una recitazione curatissima. Chris Merritt è l'ubriacone Piet dal geniale e perfetto fraseggio. Straordinario per carisma e voce talentuosa è Sir Willard White, la morte-Nekrotzar (appunto “signore dei morti”), identificato da clessidra, tromba e falce. Nicholas Isherwood è l'astrologo Astradamors in guepiere, mentre Ning Liang è Mescalina, sua moglie ninfomane e sadomaso, megera volgarissima dai seni penduli e dalle voglie sessuali insaziabili che vessa il debole e rassegnato marito. Caroline Stein è una Venere in veli rosa e svolazzante, ma soprattutto è il capo della polizia segreta Gepopo, che si spinge in zone stratosfericamente alte della partitura mentre l'orchestra si scatena in ritmi di conga, rumba, flamenco e salsa. Il controtenore Brian Asawa è il Principe Go-Go, la cui corona, al tempo stesso, gli ingabbia la testa. Eberhard Francesco Lorenz e Martin Winckler sono i ministri delle fazioni Bianca e Nera (vestiti di colori squillanti), che si scambiano epiteti ingiuriosi in ordine alfabetico. Annie Vavrille e Ilse Eerens sono Amanda e Amando, rivestiti di fasci muscolari, che si amano indifferenti a quello che accade. Con loro Daniele Massimi, Fabio Tinalli e Andrea Buratti (rispettivamente Ruffiack, Schobiack e Schobernack vestiti da carabinieri). Il coro è stato ben preparato da Andrea Giorgi. L'opera è andata in scena in inglese con sopratitoli, anche se Ligeti, scomparso tre anni fa, riteneva che ciascun paese dovesse dare l'opera nella propria lingua, adattando il libretto a quelle realtà vocali e sociali. Sin dall'inizio qualche isolata, gridata contestazione, ma alla fine sono prevalsi gli applausi dei pochi presenti. Visto a Roma, teatro Costanzi, il 18 giugno 2009 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il