Lirica
MANON

MANON E LO SPECCHIO

MANON E LO SPECCHIO

Manon di Massenet mancava all'Opera di Roma dai primi anni Ottanta (protagonisti Kraus e Kabaivanska) e questo la dice lunga sulla fortuna italiana di un'opera che invece è di primo piano nella cultura musicale post-romantica, sposata ai caratteri dell'opéra-comique: un ordito musicale calcolatissimo e teatralmente efficace.

La regia di Jean-Louis Grinda parte da un antefatto: durante l'ouverture una bambina si aggira con uno specchio in mano in un bosco, dove incontra (di sfuggita, da lontano) un già adulto Des Grieux, anche lui con uno specchio in mano. Specchio che torna in altri momenti dello spettacolo.
Le controscene, un poco bozzettistiche, sono affollate di popolani, a contrasto coi borghesi. Per il resto il regista rimane nel tradizionale, muovendo i protagonisti, il coro e le comparse in modo funzionale all'azione ed al canto. L'impianto è decisamente rococò e forse non coglie fino in fondo le implicazioni sentimentali e sessuali che coinvolgono i protagonisti, relegando un po' il tutto a un mero racconto di fatti che si presenta scorrevole e comprensibile.

La scenografia di Paola Moro migliora nel corso degli atti: per il primo atto un oleografico interno-esterno che sembra preso in prestito da un balletto romantico; poi un interno di camera da letto con specchio sullo sfondo (che riflette parte dell'orchestra, oltre i protagonisti) incorniciato da tendaggi; bellissimo il terzo atto-prima scena, che descrive un autunno incipiente nelle foglie giallastre appoggiate su un telo bianco che funge da soffitto, mentre la seconda scena è dominata da un enorme crocifisso. Ricca la scena del quarto atto, una sala da gioco con donnine discinte dalle maschere di rete dorata. Significativo il vuoto nel finale: a sinistra un albero spoglio, praticamente solo tronco biancastro, come scortecciato, a destra poche rovine della classicità. E il dolore dei protagonisti a riempire quel vuoto.
Molto belli i costumi di Anna Biagiotti, ricchi e appropriati al Settecento che il regista cerca, anche grazie a parrucche perfette. Non sempre a fuoco le luci di Agostino Angelini, spesso i cantanti in proscenio sono al buio. Le coreografie di Eugénie Andrin propongono movenze da carillon in costumi romani rivisitati dal gusto settecentesco.

Alain Guingal ha diretto l'orchestra del Teatro con giusti tempi e suoni robusti, ma nella musica di Massenet i dettagli, spesso infinitesimali, svolgono ruoli determinanti nell'economia dell'insieme, avendo sempre un fine narrativo. Nel suono (e nel canto) di Manon la leggerezza scolpisce e approfondisce ben più della muscolarità.

Nel ruolo del titolo l'annunciata Annick Massis, indisposta, è stata sostituita da Sylwia Krzysiek, che ha rivelato freschezza vocale e interpretativa, seppure non tutto lo charme che il ruolo vorrebbe (si richiede allure particolare a Manon), ben evidenziando nel corso degli atti i cambiamenti nel comportamento e nella personalità di Manon: inizialmente timida adolescente, leggermente spigliata, quindi l'espressione già furbesca e consapevole, infine la rassegnazione e l'evidente crescita interiore; la voce è piena e luminosa, sicura nelle agilità.
Massimo Giordano è un cavaliere Des Grieux dall'aria pulita, da bravo ragazzo; la voce è calda, morbida negli impasti sonori, da contenere nella giovanile baldanza piena di passione ma assai espressiva, al punto da strappare più volte l'applauso a scena aperta. Domenico Balzani è un Lescaut spavaldo, dalla voce vellutata, curata negli accenti. Appropriato, autorevole nel portamento e scuro nella voce, il conte Des Grieux di Paolo Battaglia. Meno a fuoco (anche nella pronuncia) il Guillot di Mario Bolognesi; brillante l'hotelie di Gabriele Ribis; bravo Roberto Accurso, un De Brétigny dallo sguardo glaciale. Adeguate Sabrina Testa (Poussette), Mariella Guarnera (Javotte), Milena Josipovic (Rosette) e Marzia Zanonzini (la servante). Con loro, nei ruoli di contorno, Stefano Osbat, Giuliano Di Filippo, Leonardo Trinciarelli, Giorgio Parpaiola, Luca Battagello, Giordano Massaro, Fabio Tinalli.
Poco precisi i danzatori del corpo di ballo del teatro; non sempre a fuoco il coro preparato da Andrea Giorgi.

Diversi posti vuoti a teatro, in compenso pubblico molto caloroso.

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