Il mito come monumento. Un attore, che parla nella lingua del pubblico, si aggira fra i numeri musicali che ripercorrono l’Edipo Re di Sofocle. Una voce contemporanea fra elementi eterni, in latino, lingua franca, antica e universale. Il parlato e la musica. Siamo in Francia, alla fine degli anni ’20, e Igor Stravinskij non gioca più con le citazioni come aveva fatto nel Pulcinella, ma crea una sorta di passato ideale in cui il narratore si ispira alla tradizione barocca dell’oratorio e costituisce un modernissimo elemento straniante fra azione mitica e tempo presente, fra teatro e realtà. Tutta l’opera è bifronte, oltre che bilingue (di Jean Cocteau con le traduzioni latine di Jean Daniélou, teologo e letterato), pervasa da una potenza ritmica che la rende antica e solenne quanto moderna e vitale, marmorea e pulsante. Assassino del padre, sposo della madre, annientato dalla scoperta di sé, Edipo nella sua affannosa ricerca continua a destare pietà e terrore come nella tragedia classica.