Al debutto un solenne fiasco, poi un successo infinito. Almeno così ci ha fatto credere un fiorire di aneddoti su incidenti e complotti che in realtà non trovano attendibile prova storica. Qualche scaramuccia fra impresari rivali, a Roma nel 1816 intorno alle prime rossiniane, c’era, ma nulla di troppo grave. La commedia era nata talmente perfetta da essere destinata al trionfo e a una popolarità tale che ha finito talvolta per strapazzarla perfino un po’. D’altra parte, è l’astuto Rossini per primo che ci inganna: la trama è una delle più antiche del mondo (un uomo avido e anziano tiene in suo potere una giovane, salvata dall’amore di un coetaneo e di uno scaltro aiutante) e noi siamo invitati a pensare che, con le loro abili auto presentazioni, siano Figaro e Rosina i motori dell’azione. In realtà è il Conte d’Almaviva a muovere le fila con l’oro e la sua posizione, ma quasi sempre sotto mentite spoglie. Immagine pubblicità, denari e potere: possibile immaginare un’opera più moderna?