Arlecchino è sempre rinato dalle sue ceneri, mai identico, sempre in movimento. Arlecchino, spettacolo corale, in tempi di sfrenato individualismo: la geniale regia di Strehler, dalle regole ferree, è un concertato di ritmi e toni, una partitura perfetta di gesti e movimenti, in cui la libertà va conquistata, la personalità del singolo posta al servizio di un’armonia d’insieme. Arlecchino, spettacolo in cui la lingua è un continuo intrecciarsi dei dialetti italiani, segno inequivocabile di diversità, in tempi di globalizzazione del linguaggio.
Ibridazione e contaminazione, in cui identità e caratteri locali parlano al mondo intero, grazie alla loro unicità. Oggetti di scena semplici, siparietti, candelabri, ventagli, il budino, inchini e capriole. Non molto diverso da come poteva essere ai tempi di Goldoni, simile a come è stato dal 1947 a oggi. Eppure, immagino questo Arlecchino del 2024 come assolutamente nuovo, carico di ricordi e allo stesso tempo di quel gioioso e necessario oblio che solo la gioventù può regalare. Uno spettacolo del presente che danza leggero, in equilibrio sul filo del tempo, sospeso tra passato e futuro.
Giorgio Strehler