
Abbiamo incontrato Luca Manfredi e Flavio Insinna, il regista e il protagonista dello spettacolo 'Gente di facili costumi', ora in tournée a teatro
Nino Manfredi lo portò in scena negli anni ’80, precisamente nel 1988. Oggi il figlio Luca Manfredi ne firma la regia. ‘Gente di facili costumi’ è una divertente commedia a due voci, scritta a quattro mani dallo stesso Manfredi insieme a Nino Marino.
In omaggio allo spettacolo, anche noi daremo due voci a questa intervista, nello specifico al regista Luca Manfredi e all’attore Flavio Insinna (che in scena è affiancato dall’attrice Giulia Fiume), approfittandone per scoprire qualcosa in più sulla loro vita e carriera.

Com’è stato lavorare insieme?
LM: È stato molto interessante, Flavio è un bravissimo attore e credo sia sprecato come conduttore televisivo. Va preso per il verso giusto, però è molto generoso e scrupoloso. Dopo lo spettacolo ci incontriamo per parlare di quello che è successo in scena, ci scambiamo critiche produttive e lui è molto aperto nei confronti del mio punto di vista.
FI: È stata una bellissima occasione, e quando ti capisci anche con uno sguardo ti diverti anche. Ho apprezzato molto il fatto che Luca non abbia messo dei paletti e che non mi abbia detto ‘qua fai così, qua fai colà’. Mi ha dato consigli semplici ed è stato un importante compagno di viaggio. Fa le cose con amore e non dà mai nulla per scontato.
Quando hai visto Flavio all’opera cosa hai pensato?
LM: Che è un segno nel destino. Pensa che Flavio nel 1988 mentre frequentava la scuola di Proietti fu mandato ad intervistare papà, era proprio l'anno di questo spettacolo. Quando ci siamo incontrati, Flavio mi ha dato la videocassetta dell'intervista.
Hai ricambiato?
LM: Si, gli ho regalato un cappello di papà che indossava negli anni sessanta.
Parliamo dello spettacolo. Il protagonista è un intellettuale un po' frustrato. Cosa vi ha colpito del personaggio?
LM: Il personaggio ha lo scopo di mettere in evidenza il pregiudizio nei confronti degli altri. E' un uomo po' cinico, colto e anche frustrato perché non gli è stato riconosciuto il lavoro di artista. Lui e l’altra protagonista sono due pianeti distanti ma nasce un curioso rapporto tenero. Paradossalmente Ugo riceve una lezione di vita. È un invito a rispettare la dignità delle persone.
FI: Mi ha colpito la tenerezza istintiva. Compio sessant'anni a luglio e ho iniziato a studiare a vent'anni, secondo te quanti Ugo ho incontrato nella mia vita? E lo posso dire, quanto sono stato fortunato?

Come è stato adattato il testo?
LM: Sono state apportate alcune modifiche. Nino giocava sui silenzi, i piani d’ascolto, Flavio è un altro attore, gioca sul ritmo, sul tono polemico e ironico. Per contrastare la romanità di Flavio ho scelto un'attrice siciliana, colta, dal carattere esuberante. Giulia Fiume riesce a raccontare il suo personaggio in maniera tale che tu ti affezioni a questi due disagiati. Inoltre ho sottolineato quella che fu una grande intuizione dei due Nino (Manfredi e Marino, l’altro autore), ossia l'anticipazione dell'intelligenza artificiale.
FI: Fondamentale è stato l'incoraggiamento di Luca a non calcare le orme del padre. All'inizio avevo un certo timore, ma sono stato incoraggiato da tutto il gruppo a fare quello che so fare e mettere in scena tutto quello che è nelle mie possibilità. Lavorare a questo spettacolo mi fa venire in mente quello che diceva il maestro Proietti: l'importanza dello studio.
Il contesto sociale e culturale ha influito sui personaggi dello spettacolo?
LM: È stata mantenuta l'ambientazione originale della storia, quella Roma ancora poco multietnica dove le prostitute erano nostrane.
FI: Il testo è potentissimo, non suona mai vecchio, datato. Mette in luce valori fondamentali: aiutarsi, non giudicare. Questi sono temi eterni.
Nino Manfredi avrebbe continuato a portare in scena ‘Gente di facili costumi’?
LM: Credo di no perché era stanco. Però mi disse che se lo avessi un giorno portato Io in scena mi avrebbe dato grande soddisfazione.
FI: Secondo me si ma perché sono cose del mestiere!

Per Luca: cosa ha significato essere il figlio di Nino?
LM: Vuol dire avere sulle spalle un’eredità pesante. Papà è stato un gigante dello spettacolo, mi hai insegnato che Il nostro mestiere va affrontato con la massima serietà. Lui era un artigiano della recitazione, aveva la pignoleria di un cesellatore.
Ti racconto un aneddoto: quando gli fu proposto di fare Geppetto, essendo il personaggio più grande della sua età, per acquisire un’andatura credibile indossava scarpe di tre numeri più grandi. Per studiare quel personaggio andava al Giardino degli Aranci a osservare gli anziani. L’intuizione però gli arrivò da una bambina che parlava con un bambolotto: capì che la chiave d'interpretazione era guardare Geppetto con gli occhi di un bambino. D'altronde In scena doveva passare parecchio tempo a parlare con un pezzo di legno!
Cosa ti ha spinto verso la regia?
LM: Ho iniziato a lavorare nel campo pubblicitario come copywriter. Poi casualmente mi sono ritrovato a scrivere e dirigere lo spot della Lavazza con papà protagonista e da li sono seguite, serie, film, fiction e documentari.
Quale tema attuale vorresti trattare, registicamente parlando?
LM: Ho un progetto cinematografico che ruota intorno alla guerra privata di due persone che si scatena per futili di motivi. Ad un certo punto tutto sfugge al controllo. Questa è un tema cui spero di lavorare.
Impegni futuri?
LM: Dopo i film su Manfredi, Sordi e Villaggio sto pensando a un altro film biografico. Ho in cantiere dei documentari, genere a cui mi sono già dedicato per il centenario di Armando Trovajoli e Nino Manfredi.

Per Flavio: oltre le interviste, quali sfide ti ha fatto affrontare il tuo Maestro, Gigi Proietti?
FI: Mi ha dato una grande lezione e soprattutto mi ha lasciato in eredità le regole fondamentali, quelle mi hanno cambiato la vita perché le ho usate e le uso ovunque: a teatro, al cinema, in radio, nella conduzione. Una è continuare sempre a studiare perché è un mestiere artigianale, non è acquisito. Aveva una testa giovane, è stato un Maestro preziosissimo. Io non insegnerò mai, però mi piacerebbe essere un facilitatore per evitare che i giovani perdano tempo.
Hai mai dubitato delle tue scelte professionali?
FI: Io non mi fido nemmeno di me stesso, figurati! Però una certezza ce l'ho: non ho mai rifiutato Taxi Driver, metaforicamente parlando! Qualche volta ho rifiutato cose che ritenevo giganti e non mi sentivo pronto però la vita con me è stata molto generosa, ringrazio ogni giorno per quello che ho e ho avuto.
Il ruolo di conduttore ha influenzato quello di attore?
FI: È l'attore artigiano che muove il conduttore, io non sono un conduttore vero, alla Carlo Conti per farti capire. Ho usato sempre le regole fondamentali del maestro Proietti. Mi sono dovuto adattare alle esigenze televisive, farei parlare tutti senza interromperli perché ho un'accogliente curiosità verso l'essere umano.
Quale ruolo interpretato ti ha dato più soddisfazione?
FI: I ruoli dove veniva fuori l'essere umano, ad esempio quando ho interpretato il sacerdote Don Pietro Pappagallo nella miniserie tratta dalla biografia del sacerdote che poi morì nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Poi gli anni di Don Matteo, oh stavo accanto a Terence Hill, a Trinità! Era fantastico. Poi con Frassica si è instaurato un rapporto da compagno di vita, con la troupe un legame d’affetto, il regista Enrico Oldoini è stato papà e fratello maggiore.
Pensi che il tuo impegno filantropico abbia sensibilizzato il mondo dello spettacolo?
FI: Non so se ha sensibilizzato il mondo dello spettacolo ma sicuramente alcuni giovani sì. Quando mi vedono all’opera con la Comunità di Sant’Egidio o Amnesty International mi riconoscono, chiedono, partecipano e ce n’è tanto bisogno! Mia madre mi diceva ‘scegli un campo che sia un aiuto agli umani, agli animali, alla natura e poi dedicatici con assoluta mancanza di giudizio’. Come ho già detto sono stato molto fortunato e cerco di vivere tenendo a mente una frase di San Giovanni della Croce: ‘Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore’.
Su quello, non sui nostri successi o le sconfitte!
Alla fine di amore in questa intervista se ne percepisce parecchio, l’energia è palpabile. L’augurio è che diventi facile costume accogliere l’altro, con ironia certo ma sempre con enorme rispetto. Nel teatro come nella vita. Per chi volesse vederli a teatro, qui la date del tour.