
Proseguendo nel rapporto di collaborazione con la Daegu Opera House, fertile polo produttivo operistico della Corea del Sud, il Teatro Comunale di Ferrara accoglie nella sua sala in prima europea una coproduzione di Andrea Chènier di Giordano. Lavoro che vede impegnato un cast interamente sudcoreano, supportato però dalla compagine strumentale di casa, l'Orchestra Città di Ferrara.
Stessa operazione della Turandot arrivata qui da Daegu nel 2023, mentre l'anno scorso fu il teatro emiliano a portare in Estremo Oriente l'Orlando furioso di Vivaldi. Un'occasione buona, fra l'altro, per celebrare il 140° anniversario dei rapporti diplomatici Italia/Corea del Sud e ribadire il legame culturale tra le due città, entrambe nominate Patrimonio dell'Unesco.

Lo sventolio di bandiere del popolo parigino
La mise en scéne di questo nuovo Andrea Chénier si deve a Mary Kim Jiyoung, e poggia su una essenziale, evocativa scenografia: una scalinata ed un ampio cerchio sovrastante, elementi onnipresenti; una quinta di verzura ed un grande lampadario per il primo atto; un'enorme testa rocciosa per il secondo e terzo, dominati da un muro sbrecciato dov'è inciso il motto rivoluzionario; alla fine, un'idea di labirinto per prigione.
E' una regia che procede su sicuri binari, viaggiando con immediata valenza narrativa. Se da un lato non approfondisce troppo la psicologia dei personaggi, in compenso esemplifica bene le didascalie del libretto di Illica senza esserne succube, costruendo uno spettacolo fluido; e trova motivo pure per qualche cauto inserto coreografico. I costumi senza tanti fronzoli ci portano, più che agli anni della Révolution française, ad uno stile indefinito; nulla degno di nota.

Quanto alla direzione musicale di Marcello Mottadelli – sempre lui, due anni fa, a guidare bene la Turandot sopra citata – nulla da eccepire: procede solida e senza sbandamenti, ben meditata e adeguata resa di colori; spinta da un forte impulso drammatico, mette bene a fuoco tutte le sezioni dell'Orchestra schierata davanti. I cantanti, ben guidati e mai lasciati a sé stessi. Apprezzabile il lavoro svolto dal Coro Colsper preparato da Andrea Bianchi.
Che bravi, questi coreani!
Non sorprende troppo – nessuna novità per chi frequenta i nostri teatri – l'ottima qualità delle voci e la considerevole preparazione tecnica di tanti interpreti provenienti dalla Corea, a volte perfezionatisi qui da noi; di conseguenza, anche di quanti vediamo ora nel capolavoro di Giordano. Prendiamo il tenore Park Seonggyu, perno di questa produzione: il suo Chénier è musicalissimo, imponente e squadrato, squillante e luminoso negli agili acuti, morbido nella stoffa e vario nei colori, legato a dovere e dal caldo fraseggio. L' Improvviso screziato di bei soffi lirici, «Sì, fui soldato» cantato con slancio eroico ma senza enfasi inutili, «Un bel dì di maggio» venato di sofferente malinconia.Teniamocelo buono.

Il baritono Oh Seungyong plasma un Gèrard sapientemente scolpito, supportato da voce di elevata consistenza e spessore – fiato all'apparenza inesauribile – e di bella stoffa, omogenea nei bassi come negli alti; impulsivo. Irruente, eroico, come attore si impossessa della scena. La meditazione di «Nemico della patria ?!», con lui diventa un momento di squadrata, intensa emozione, al pari del precedente fiero appello di «Lacrime e sangue dà la Francia». Altra voce da tener da conto.
Attorno a Maddalena, la folla di Parigi
Rim Saekyung delinea una apprezzabile Maddalena. Timbro e colore hanno discrete attrattive; sebbene qualche acuto non esca limpidissimo e tolto un certo eccesso di vibrato, supera con slancio le non poche difficoltà della scrittura.

Affronta «La mamma morta» con calibrata affettività, ed offre una prova nel complesso positiva che culmina nell'esaltante, febbrile finale. Nella folla delle parti di fianco, spiccano per bravura Son Junga (estrosa e disinvolta Bersi), Seo Jeonghuyeok (un fiero Mathieu), Moon Seokhoon (un saldo RoucheLa locandina è completatat da Kim Haneul (la Contessa di Coigny), Choi Sunae (Madelon), Lee Kihyun (Fleville/Dumas), Lee Houjun (Fouquier/Tanville), Alexandro Mundula (Abate), Jeon Jaemin (il maestro di casa/Schmidt).