
Nella produzione operistica di Richard Strauss Elektra - primo frutto delle feconda collaborazione con lo scrittore Hoffmannsthal - rappresenta per le sue peculiari caratteristiche un unicum di potente impatto drammaturgico. A causa del suo carattere aspro e severo sino alla durezza nel recupero di un tragico mito ellenico, si distacca infatti sia dalla sensualità liberty di Salome che dallo spirito neoclassicheggiante del Rosenkavalier e di Ariadne.
Al Teatro Filarmanico di Verona non funziona dunque granché l'idea di trasporre la vendetta della figlia di Agamennone nella Berlino della Repubblica di Weimar, con corollario di inquietanti figure sadomaso e trans che circondano una Klitämnestra in brutto tailleur scozzese, ed un Aegist in vestaglia e giarrettiere rosse. Chiudendo addirittura con l'evocazione della Machtergreifung - la presa di potere di Hitler - con tanto di milizie SA in azione, allorché Orest uccisi madre e patrigno assurge al trono miceneo.

Una regia tutta fuori strada
Messa da parte l'antica reggia degli Atridi, introdotti in un borghese salotto prussiano, si perde così quel senso dell'arcaico mito, quell'immagine d'una grecità demoniaca e primitiva, quel clima di fantastica monumentalità che dall'Elettra di Sofocle defluiva in quella Hoffmansthal. Restando così in primo piano solo la brutalità selvaggia delle passioni in gioco.
Quindi, bocciamo in pieno la greve, deviante, soperchia regia di Yamal das Irmich, zeppa di immagini devianti, salvando al limite solo la scenografia di Alessia Nascimbeni ed i costumi di Eleonora Nascimbeni. Hanno fatto un buon lavoro, ma messe su una strada sbagliata. Le luci le ha curate Fiammetta Baldisserri.

Una partitura portata a dimensioni 'normali'
La virulenza delle forti passioni in campo, a partire dalla frenetica ansia di vendetta della protagonista, si specchia nella forza tellurica della smisurata partitura straussiana, richiedente gigantesche masse polifoniche. Tanto imponenti al punto che, in due differenti esecuzioni viste entrambe nel gennaio 2010, a Bolzano e Catania, erano sistemate en degradant direttamente sul palcoscenico.
Ora, ridurla a dimensioni più 'normali', vale a dire quelle di una consueta orchestra sinfonica, come ha fatto il compositore austriaco Richard Dünser per agevolarne l'esecuzione magari non ne tradisce il senso generale, e in qualche modo non ne sacrifica troppo i fulgidi cromatismi; però di sicuro altera gli equilibri interni originali, sminuisce certi balenii abbaglianti, suscita minor impatto sullo spettatore. Un ridimensionamento anche questo 'borghese'.

Ad ogni modo quale direttore Michael Balke in questa prima esecuzione italiana cerca la quadra dell'operazione, e dirige con assennato equilibrio; ottiene una buona pulsazione ritmica, cerca di regolare bene le parti, ma l'esecuzione non brilla ovunque per temperamento. Non sempre poi la compagine veronese sembra all'altezza del compito, e tirate le somme questa sua direzione, benché in fondo corretta, non lascerà gran traccia.
Lise Lindström, una certezza per Strauss
In compenso troviamo in scena un'Elektra superlativa, ed è quella di Lise Lindström. Ruolo faticoso, logorante persino; pervaso di una tragicità febbrile che il soprano statunitense, salda interprete straussiana, con forte impatto scenico ed una vocalità agile e poderosa rende benissimo sin dal monologo iniziale, costruendo passo dopo passo una figura tanto parossistica ed allucinata nel carattere, quanto di formidabile levatura sul versante musicale.

La nostra Anna Maria Chiuri disegna con destrezza vocale e grande finezza interpretativa gli sconnessi travagli psicologici di Klitämnestra; la frenesia impulsiva di Chrysothemis è ben raffigurata dal soprano greco-canadese Soula Parassidis; il basso-baritono Thomas Tatzl è un eloquente, compatto, incisivo Orest; Peter Tantsits consegna un colorito, fatuo Aegist.
Una folla, le parti di contorno, tutte però importanti. Nicolò Donini è il precettore di Orest; Anna Cimarrusti la confidente; Veronica Marini, Lucia Cervoni, Marzia Marzo, Anna Werle, Francesca Maionchi e Manuela Caciucco interpretano le ancelle; Raffaella Linti, la sorvegliante; Leonardo Cortellazzi e Stefano Rinaldi Miliani i due servi. Il coro areniano è stato preparato da Roberto Gabbiani.