Lirica
LA VESTALE

Nella Vestale di Spontini, Gianluca Falaschi rende omaggio a Maria Callas

La Vestale
La Vestale © Stefano Binci

Serata memorabile al Teatro alla Scala il 7 dicembre 1954, in locandina La Vestale di Spontini diretta da Antonino Votto e con la regia di Luchino Visconti. La protagonista era Maria Callas, impegnata in una performance indimenticabile, capitolo fondamentale del recupero di grandi ruoli sopranili del passato, tra cui proprio quello di Julia, giovane sacerdotessa della dea Vesta acremente divisa fra Amore e Dovere.

Teatro.it La Vestale Jesi Carmela Remigio Bruno Taddia 3 Foto Stefano Binci


Oggi Gianluca Falaschi, inseguendo una stravagante metafora e impegnato nella triplice veste di regista, scenografo, costumista, pone in parallelo tale immaginaria vicenda con quella reale della 'divina' Callas, da lui vista al pari d'una“moderna vestale” per cui“il canto non era soltanto un'espressione artistica, ma un atto sacro, una missione spirituale”

Anch'essa però nettamente scissa fra due opposte sponde: da una parte donna passionale, dalla vita sentimentale travagliata; dall'altra cantante “segnata dal sacrificio della propria identità nome dell'arte”. Apre dunque la rappresentazione che vediamo al Teatro Alighieri di Ravenna – dopo le recite a Jesi, Piacenza e Pisa – con la sua voce registrata, dove in realtà il soprano greco afferma che in ogni suo personaggio lei infonde l'anima, la propria vita.

Teatro.it La Vestale Jesi Carmela Remigio Bruno Taddia 2 Foto Stefano Binci

Un ritorno al passato alquanto forzoso

Da quest'idea un po' stiracchiata, il regista romano colloca in scena tutto un richiamo agli Anni '50, dalle acconciature elaborate agli abiti elegantissimi: le donne in lungo, per Julia pure l'abito bianco indossato dalla Callas alla prima meneghina del 1954; gli uomini in smoking, con una toga buttata sopra giusto per ricordare che siamo in Roma. L'essenzialissima scenografia prevede solo alti, candidi tendaggi; lo spegnersi del sacro fuoco - elemento primario, qui del tutto assente - è rappresentato da loro precipitare al suolo. 

Si viaggia poi attraverso un'inafferabile drammaturgia ed un vacuo simbolismo – perché il fantolino in braccio a Julia, perché i bicchieri sempre in mano, perché quelle noiose, silenti immagini della donna girate in teatro? - che appesantisce non di poco un'opera già per sé magniloquente. Per i due momenti danzati d'obbligo all'Opéra parigina interviene Luca Silvestrini, che congegna altrettante coreografie con otto danzatori impegnati in un vuoto rotear di gambe e braccia, con gestualità sgraziate e incomprensibili, e minimo collegamento con la musica.

Teatro.it La Vestale Jesi Carmela Remigio Bruno Taddia 4 Foto Stefano Binci

Strumentale raffinato e smagliante

L'Orchestra La Corelli, compagine fatta di giovani, al di là dei singoli talenti (quali il primo corno Luca Gatti e l'arpista Ottavia Rinaldi) procede con fervore, ma non sempre brilla nelle sue sezioni per precisione e coesione. Dal podio Alessandro Benigni cerca di tenerne unite le fila, e di trarne il meglio; imposta un fluire musicale ragionevole, e sostiene a dovere il canto. 

Ma la grandiosità dell'opera di Spontini, l'ampio respiro della sua struttura drammatica, l'incandescente fluire sonoro, la sua opulenza strumentale e melodica – insomma, quel smagliante tessuto musicale che conquistò i parigini all'Académie Imperiale nel 1807 - richiederebbero molto di più. Impeccabili, in compenso, i numerosi interventi del Coro del Municipale di Piacenza guidato da Corrado Casati.

Teatro.it La Vestale Jesi Carmela Remigio Bruno Taddia 5 Foto Stefano Binci

Pochi ma impegnativi personaggi

Opera di pochi personaggi ma tutti vocalmente insidiosi, La Vestale. La Julia di Carmela Remigio costruita con tempra da vera tragédienne – siamo nel regno già di Lully, Rameau, Gluck! – è ben centrata nella febbrile personalità, ben ornata ed eloquente nella linea di canto. 

Più pregnante nelle espansioni liriche, forse, che nelle salite acrobatiche e negli involi drammatici; comunque, in grado d'offrire una grande prova, con epicentro il grandioso ed agitato susseguirsi di arie e recitativi aperto nel II atto da «Toi que j'implore» dipanato con manifesta efficacia.

Pensata in origine per un tenore grave – un baritenore, ovvero un taille all'uso francese – qual'era François Laïs, la parte dell'impetuoso e irriflessivo Licinius calza perfettamente alla lucente e flessibile impronta vocale di Bruno Taddia: un baritono tendenzialmente 'chiaro', voce confinante col registro tenorile più fondo, dalla bella e prodiga colonna di fiato, sostenuta da fraseggio limpido, accurato, intelligente, doti atte ad infondere sostanza eroica alla bellicosa figura. 

Daniela Pini rende a meraviglia il severo e nobile carattere della Grande Sacerdotessa, tramite una linea di canto morbida e malleabile, nitida e precisa; Joseph Dahdah tratteggia un solido e veemente Cinna; Adriano Gramigni propone un austero ed impeccabile Gran Pontefice.

Visto il 28-02-2025
al Alighieri di Ravenna (RA)