Per le Edizioni Curci, un nuovo testo per indagare i rapporti tra Puccini ed i compositori del suo tempo
Molti i libri dedicati a Giacomo Puccini usciti lo scorso anno, sull'onda del centenario dalla scomparsa. Nella stragrande maggioranza uno più inutile dell'altro, limitandosi a battere sentieri già percorsi da altri, e con ben altra autorevolezza.
Non è questo il caso di questa succosa raccolta di saggi di Filippo del Corno, intitolata Puccini '900 - La seduzione della modernità, aperta da una lucida prefazione di Riccardo Chailly.
Puccini e il suo tempo
Filippo Del Corno è un valido ed eclettico compositore, con una fiorente produzione ed una ricca discografia alle spalle. Docente di composizione al Conservatorio di Milano, città in cui dal 2013 al 2021 è stato assessore alla cultura, è stato tra i fondatori di Sentieri Selvaggi, ensamble da quasi trent'anni dedito alla promozione della Nuova Musica.
E tale dedizione alla modernità ha prodotto il germe di queste riflessioni dedicate ai rapporti fra l'operista lucchese ed il mondo musicale a lui contemporaneo. Rapporti, per carità, già messi in rilievo da emeriti pucciniani quali Girardi, Schickling, Budden, Bernardoni; ma in questo libro più puntualmente focalizzati.
Drammaturgo finissimo, prima ancora che compositore
Superata è da tempo l'immagine un Puccini compositore superficiale, adatto a pubblici di bocca buona inclini alla lacrima facile, legato al passato ottocentesco. In realtà lo vediamo estremamente attento alla sua contemporaneità, sempre pronto a captare nuovi umori sin dai cimenti giovanili, sempre proiettato verso il futuro, sempre desideroso di rinnovare il proprio linguaggio musicale. Pienamente immerso nel suo mondo,
Puccini viaggia pressoché senza sosta, frequenta i teatri e le sale da concerto, ascolta con costante curiosità. Si reca a Dresda per la prima di Salome, ammirando l'abilità di strumentatore di Richard Strauss. Va a Firenze per ascoltare, partitura alla mano e senza pregiudizi, il Pierrot lunaire di Schönberg, discorrendone poi con l'autore. Dalla Manon al Trittico la sua fine attitudine drammaturgica e la genialità compositiva si rinnovano ininterrottamente, si affinano, si arricchiscono di nuove ed inedite combinazioni sonore. E Turandot, per giudizio unanime, è il massimo capolavoro operistico dell'intero '900 italiano.
Torrefranca lo irride, Schönberg lo loda
La sua raffinatezza musicale non sfugge ad un orecchio attento. Se nel 1912 Fausto Torrefranca nel suo caustico pamphlet Giacomo Puccini e l'arte internazionale ne demolisce con brutalità la figura, un anno prima Schönberg nel suo Trattato di armonia lo poneva tra gli innovatori del vocabolario armonico novecentesco.
Ribadendo poi tale asserto negli Elementi di composizione musicale, usciti postumi. Incredibilmente è proprio la musicologia italiana a trattarlo a lungo come un minus habens: nella ponderosa Storia della Musica UTET, uscita nel 1944 sotto firme illustri, viene trattato con offensive parole: «Limitato è il suo orizzonte spirituale, modeste le ambizioni espressive (…) E' un piccolo mondo, mediocre e femmineo, quello che palpita nella musica di Puccini». Giudizio che oggi porterebbe dritto alla forca.
Un attento osservatore della sua contemporaneità
Puccini in realtà sapeva ascoltare con franca curiosità anche i giovani talenti italiani della Generazione dell'Ottanta, che pure lo criticavano. I lavori di Stravinskij, Bartók, De Falla, Ravel, Debussy non gli sono estranei, li ascolta con interesse, ne assimila persino certi umori. Non è un caso se al momento di associare i pannelli del Trittico pucciniano 'scomposto' in tre serate differenti con composizioni d'altri autori, un anno fa all'Opera di Roma la scelta cadde su Il castello del duca Barbablù di Bartók, L'heure espagnole di Ravel, Il Prigioniero di Dallapiccola. A Firenze poi, nello scorso dicembre Gianni Schicchi è stato preceduto da Mavra di Stravinskij.
Puccini '900 – La seduzione della modernità
di Filippo Del Corno
Edizioni Curci
Pag. 128 - € 17,00