Teatro

SALISBURGO, Il flauto magico

SALISBURGO, Il flauto magico

Salzburg, Grosses Festspielhaus, “Die Zauberflöte” di Wolfgang Amadeus Mozart UN FLAUTO MAGICO PER L'OCCHIO E PER L'ORECCHIO Il festival di Salisburgo 2008 ha alternato produzioni di “Regietheater“ (Don Giovanni, Rusalka) con proposte più tradizionali come il Flauto Magico con la regia di Pierre Audì, spettacolo semplice e giocoso senza essere però infantile, fedele allo spirito dell’opera e al suo carattere magico - fiabesco. Le scene del pittore e scultore olandese Karel Appel (cofondatore del gruppo CoBra e morto pochi mesi prima del debutto della produzione nel 2006) caratterizzano lo spettacolo e fanno la regia. Pierre Audì lascia parlare scene e musica creando una favola per l’occhio e per l’orecchio senza approfondire i caratteri né differenziare drammaticamente i vari momenti narrativi. La scena, come del resto tutta la pittura di Karel Appel, è coloratissima con forte prevalere di colori primari e vivaci: sfondi luminosi gialli, verdi, viola contro cui si stagliano i personaggi, montagne di cartapesta semoventi, animali primordiali e variopinti, fantasiose costruzioni antropomorfe in un mix di arcaico e barbarico, gigantesche corolle di fiori carnosi che portano in scena i personaggi come sul palmo di una mano. Ma anche forme stilizzate e geometriche per i momenti da opera seria, come il tempio di Sarastro, una piramide stilizzata di scatole colorate come un cubo di Rubik. Cartapesta e plastilina dell'infanzia, l’Egitto immaginario, l’Africa nera, l’America precolombiana si fondono in un mondo di forme e colori in movimento di grande impatto visivo che affascinano in un crescendo di colore e d’invenzione. Una féerie che piace al pubblico che applaude la fontana che spruzza insieme acqua e fuoco, la pioggia incandescente che forma colonne luminose, l’ immenso cuneo di stagnola dorata che scende obliquo ad occupare tutta la scena per conficcarsi come una freccia nel palcoscenico e affermare la vittoria della luce sulle tenebre. In una compagnia di canto omogenea ed equilibrata spiccano Tamino e Pamina, due facce della stessa aurea medaglia, più che mai speculari per stile, finezza e musicalità. Michael Schade è un Tamino espressivo dalla voce lirica chiara e sfumata; l’aria del ritratto in particolare, così raccolta e rotonda, sprizza nobiltà e misura. Genia Kühmeier sfoggia una voce cristallina che si libra su di un linea di canto armoniosa, ideale per Pamina, come del resto la presenza scenica intensa e delicata. Marcus Werba è un Papageno-fanciullo, agile e comunicativo, dalla splendida voce, naturale e sonora: personaggio divertente e divertito, disarmante nella sua semplicità ed emblema del gioco e della leggerezza che rigira fra le mani con infantile stupore una palla d’acciaio che riverbera la musica del Glockenspiel. Albina Shagimuratova è una Regina della notte drammatica, dalla voce consistente adatta a restituirne il furor, ma manca l’esasperata precisione dei trilli e degli acuti che sono parte fondamentale del personaggio. Dietmar Kerschbaum è un Monostatos che spicca per la presenza forte e sopra le righe, Franz-Joseph Selig invece, è un Sarastro molto serioso, sobrio e composto, dalla voce grave e piena. Irena Bespalovaite è una simpatica Papagena; non all’altezza del resto del cast le tre dame. E chi più autorevole e incisivo di Franz Grundheber nella parte recitata del primo sacerdote? All’ultima rappresentazione Riccardo Muti è stato sostituito da Peter Schneider, che ha offerto una direzione tersa e fluida, curata nei dettagli, dal giusto fraseggio ed equilibrio mozartiano. Non a caso il direttore austriaco è considerato a Monaco e Vienna l’erede di Sawallisch. Gli orchestrali suonano come ci si aspetta dai Wiener alle prese con un’opera del “loro” repertorio e confermano la proverbiale perfezione trovando sempre il giusto peso, né troppo forte ne troppo leggero, con un suono equilibrato, duttile, levigato.. Noioso? La scelta di tempi lenti nelle arie di Tamino e di Pamina mette in rilievo la purezza del canto e la dimensione aulica dei protagonisti “nobili”, ma nel duetto Papageno - Papagena ne limita il mordente e l’effetto teatrale. Buona la prova del coro ieratico e solenne, ma soprattutto dei Wiener Sängerknaben per l’assoluto nitore precisione e purezza. Sublimi. La scelta di aver rappresentato l’opera nell’immensa Grosses Festspielhaus anziché nella più intima Haus für Mozart ne riduce l’incanto, ma non la gioia di un pubblico in larga parte tedesco che lo vive come un gioioso rito collettivo e che celebra, anno dopo anno, la grandezza dell’illustre salisburghese. Visto a Salzburg, Grosses Festspielhaus, il 30 agosto 2008 Ilaria Bellini