Con Vita mia Emma Dante scende una volta di più nelle viscere, nelle lacerazioni, ma anche nel calore dell’amore materno, dei rapporti in cui comanda solo il sangue. Vita mia, soprattutto al sud, è un’espressione d’amore, dolcezza e possesso delle madri per i figli, la cui morte diventa inaccettabile. Al centro di questo spettacolo della Dante c’è, ancora una volta, una madre, i suoi figli, i legami familiari.
«I miei spettacoli – spiega la regista – nascono tutti da un piccolo nucleo, la famiglia, che spesso è matriarcale. E poi le icone religiose, i santini, i simboli di un cattolicesimo barocco e spesso opprimente, la mia Palermo in bilico fra arcaismo e disgregazione contemporanea».
Negli attimi terribili che anticipano la perdita più atroce per una madre, si agitano i gesti, i ricordi, le parole di conforto, i rimorsi. Gli attori si sfrenano in una tragicomica danza attorno ad un letto vuoto, come a sfuggire al terribile destino che, dal centro del palco, li attira come una
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