Un’umanità schiacciata da immobili arcaismi e indifesa dinanzi ai fantasmi della modernità; questo è il destino dei personaggi della drammaturgia di Emma Dante, attraversati da una parola sempre più reticente cui corrisponde in equilibrato contrappunto un gesto scenico esasperato.
Una madre, i suoi tre figli, una quotidianità che si avverte disperata. Lo spettatore è immediatamente aggredito da un pathos che gli appare incongruo; almeno fin quando non capisce che uno dei tre figli in realtà è morto. Lo capisce dai laceranti e inattesi sguardi della madre, dall’improvviso rituale funebre della vestizione, dal ritmo spezzato e illogico del linguaggio scenico. Ma non c’è un prima né un dopo; soltanto la scansione del dolore che dilata all’impossibile il momento della separazione, ed è tutto quanto accade sulla scena. Così si distende l’elegia dell’assenza; e la madre compie ogni gesto residuo per negare il dramma della scomparsa, per non disgregarsi dinanzi all’ineluttabile. Ed infine, raggiunta dall’evidenza, non le resta che accompagnare sul letto-feretro il corpo del figlio, distendersi supina sotto di lui, mentre gli altri due fratelli, con gesto simmetrico, si adagiano sotto lo stesso letto, nascondiglio dei giochi dell’infanzia e adesso monumentale ipostasi della morte. Sulla scena è meravigliosa Ersilia Lombardo che fa partire all’intorno onde sferiche di dolore, ora percuotendo gli spettatori con sguardi di muto e feroce strazio, ora danzando col corpo inerte del figlio nella scena più amara e poetica del testo. Ma decisamente bravi anche gli attori al contorno, capaci di giusta intensità e ritmo scenico.
Gli spettacoli di Emma Dante registrano a Napoli ormai da tempo afflussi straordinari di pubblico, soprattutto giovane. Gli spettatori della Sala Assoli, piena anche stavolta all’inverosimile, hanno dedicato cinque lunghi minuti di appassionato applauso a questo nuovo lavoro della sapiente regista palermitana.
Teatro Nuovo, Sala Assoli - Napoli, 8 febbraio 2006
Visto il
al
Valle Occupato
di Roma
(RM)