
C’è un’assenza che domina La Ferocia, lo spettacolo tratto dal romanzo di Nicola Lagioia. Ideato dalla compagnia VicoQuartoMazzini con la regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà, lo spettacolo si costruisce attorno alla figura di Clara, erede della famiglia Salvemini, trovata morta in circostanze mai chiarite.
Nessun corpo, nessuna attrice a interpretarla: Clara è un vuoto che si fa presenza, un’evocazione costante. Il testo esplora la brutalità e il lato oscuro della provincia italiana, mettendo a nudo i meccanismi del potere e della violenza famigliare.

Linguaggio di rottura e sperimentazione
Portare in scena un romanzo vincitore del Premio Strega non è semplice, ma l’adattamento riesce in una sintesi raffinata e intensa. Il mistero iniziale lascia spazio a un’indagine esistenziale sul potere, resa attraverso un montaggio teatrale che ricorda il cinema: scene brevi, salti temporali, punti di vista soggettivi.
La regia disegna un ambiente rarefatto e perturbante, fatto di pochi elementi mobili, luci fredde e musica disturbante, che costruiscono una tensione costante e un’atmosfera claustrofobica, coerente con l’ambiguità della narrazione.

Un cast affiatato per un teatro che non consola
Il cast è compatto e preciso, capace di restituire la complessità dei personaggi senza mai cadere nel didascalico. Con una coralità efficace, gli attori portano in scena un affresco crudele e spietato della contemporaneità. La Ferocia è un’esperienza teatrale che coinvolge tutti i sensi: non cerca il realismo, ma lavora sulla suggestione e sul non detto. Clara, invisibile ma onnipresente, diventa simbolo di ciò che il potere manipola e nasconde.
VicoQuartoMazzini firma una prova rigorosa di teatro civile, capace di scuotere lo spettatore e farlo riflettere, senza offrire facili consolazioni.