
Dopo Mine vaganti, ecco anche Magnifica presenza trasformarsi da pellicola cinematografia a trasposizione teatrale. Ferzan Ozpetek sceglie il film del 2012 per il suo ritorno a teatro e forse non è un caso. I protagonisti di Magnifica presenza sono infatti presenze incarnate di attori vissuti durante la seconda guerra mondiale: quale migliore occasione di farle vivere a teatro?
Tra finzione e realtà
Un giovane dei Castelli Romani (Erik Tonelli) si trasferisce nella città eterna per tentare la sorte come attore, accompagnato dalla verace cugina (Tosca D’Aquino). Affitta un appartamento atipico, mobili antichi e pesanti drappi, con un palcoscenico vero e proprio in soggiorno, costruito per volontà di un gruppo di attori che abitava lì decenni prima.

Il problema è che Pietro comincia a vederli, questi attori, aggirarsi per casa sua con aria da padroni. Vedendoli solo lui, inizialmente crede di impazzire, ma poi si lascia sedurre dai membri di questa compagnia d’altri tempi, capitanati dalla capocomica Apollonio (Serra Yilmaz). Essi lo aiuteranno a superare la timidezza ai provini, ma soprattutto a crescere ed essere una persona migliore.
Emozione e memoria
Un cast raffinato, in cui ognuno recita la sua parte (alcuni doppia addirittura) in maniera puntuale ed elegante, ma rimanendo sempre parte di un gruppo coeso e affiatato. La regia di Ozpetek trasporta gli spettatori nella dimensione onirica come stretti in un abbraccio, cullati dalla selezione di musiche estrapolate dal film, che diventano esse stesse drammaturgia e contribuiscono a creare il contesto e l’atmosfera in cui si dipana la vicenda.

L’atmosfera surreale e inizialmente un po’ conturbante viene resa magicamente dalla scenografia di Luigi Ferrigno, sormontata da lunghi e larghi specchi che, girando su sé stessi, confondono bene le carte fra sogno e realtà. Una storia esilarante dai risvolti malinconici, un inno al teatro di un tempo e all’arte di arrangiarsi, sul palcoscenico così come nella vita.