Prosa
SARABANDA

Sarabanda, di Ingmar Bergman: c'è il ghiaccio nel cuore degli uomini

Sarabanda
Sarabanda © Lia Pasqualino

Come ve lo immaginate un dramma scritto da un nordico, con protagonisti nordici, ambientato in una fredda Scandinavia estiva? Con il freddo che viene da dentro i protagonisti più che dal meteo? Ecco: Sarabanda, scritto da Ingmar Bergman, è così. Lo spettatore assiste a questo dramma, interpretato in modo magistrale, e non si stupisce più del fatto che i paesi nordici (così belli, puliti, ordinati, dove tutto funziona) siano quelli con il record di suicidi.

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Sarabanda è il dramma dell’incomunicabilità umana, della solitudine esistenziale profonda. Il messaggio è che gli esseri umani possono comunicare tra loro solo con la parte superficiale della loro emotività: la parte intima e profonda di ogni essere umano è un blocco di ghiaccio, spento e solo. Un pozzo a tenuta stagna da ogni tentativo di forzare l’isolamento.

Si possono avere mogli, mariti, figli: ma i coniugi non arrivano in realtà nel profondo dell’altro. E quando sembra che ci arrivino (come nel caso di Henrik, uno dei protagonisti) c’è la morte di uno dei due in agguato: ed è il pretesto per rinchiudersi nel buco, questa volta per sempre. Come dire: “Scusate, ci siamo sbagliati. Non è possibile essere felici”.

Un grande Renato Carpentieri

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Il dramma è tutto qui. Un grande Renato Carpentieri, dall’alto dei suoi 82 anni, è perfettamente credibile nella parte del vecchio astioso Johan, che si richiude in un buen retiro in mezzo alla foresta svedese, rifiutandosi di avere rapporti con il figlio Henrik e – a cascata – con il resto dell’umanità. Subisce, non accetta, il ritorno dell’ex moglie Marianne; e tollera forse (ma episodicamente) la nipote Karin: probabilmente più per fare un dispetto al figlio che per amore di nonno.

Il personaggio più sconfitto è Henrik, interpretato da un ottimo Elia Schilton: fallito come musicista, come padre, come insegnante. Era riuscito a realizzare qualcosa solo nel matrimonio, ma la moglie è morta. Cosa cerca Marianne, la bravissima Alvia Reale, andando a casa dell’ex marito? Non si sa, non è chiaro. Una riconciliazione tardiva? Un pentimento, il desiderio di riparare tardivamente le cose andate a male, l’istinto della crocerossina che cura anche chi non vuole essere curato? Forse tutte le cose insieme. 

L'ombra dell'incesto

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In scena però si vede che Marianne è l’unica sana di mente, l’unica lucida e obiettiva. Non è preda degli istinti vendicatori e del nichilismo cinico di Johan; non è obnubilata come Henrik, che maschera il suo fallimento vivendo in un mondo tutto suo. 

Non è lacerata e isterica come Karin, Caterina Tieghi, sospesa tra il desiderio di fuga (per realizzarsi come donna e come musicista) e il senso di colpa che le impedisce di abbandonare il padre vedovo. Padre che cerca di rimettere insieme la sua vita - andata in pezzi con la vedovanza – sostituendo la moglie con la figlia, e pianificando la vita di Karin in una disperata ricerca di equilibrio.

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Ma c’è anche un’idea di incesto sottotraccia, solo alluso: come nella scena in cui padre e figlia si svegliano nello stesso letto. Caterina Tieghi in un paio di scene sembra troppo sopra le righe, preda di un isterismo troppo strillato ed esagerato: sarebbe più efficace se abbassato di un tono.

Andò crea un ibrido fra cinema e teatro

Stiamo parlando di un dramma scritto da un regista cinematografico come Ingmar Bergman e messo in scena da un altro regista come Roberto Andò, che ha fatto parecchio cinema. Andò e lo scenografo Gianni Carluccio hanno costruito un ibrido fra cinema e teatro. 

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Ci sono pareti mobili che si muovono in senso orizzontale e verticale, a replicare le inquadrature cinematografiche: piano americano, piano medio, campo medio. Ci sono le transizioni tra una scena e l’altra; i tagli; le luci creano due ambienti distanti tra loro che si vedono in contemporanea; sempre le luci fanno le dissolvenze.

Ma perché Sarabanda? Due dei quattro protagonisti sono musicisti classici, e la sarabanda è una danza lenta di carattere solenne, con un ritmo particolare, particolarmente difficile da eseguire. Difficile come il mestiere di vivere, probabilmente.

Visto il 28-01-2025
al Ivo Chiesa di Genova (GE)