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TOO LATE

Too Late di Jon Fosse: il teatro nordico tra ombre, fantasmi e solitudine

Too Late
Too Late © Federico Pitto

Jon Fosse è norvegese, e si vede: questo Too late è pieno di pessimismo nordico e glaciale già dal titolo. E’ troppo tardi, per tutto: per vivere davvero, per vivere diversamente, per fare scelte di vita diverse. Il premio Nobel per la letteratura del 2023 mette il dito nella piaga della condizione esistenziale umana, dominata per definizione dalla provvisorietà: siamo su questa terra per un limitato lasso di tempo, prima di noi ci sono stati miliardi di uomini che hanno lasciato ben poche tracce, e dopo di noi ce ne saranno altri miliardi. 

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Lo spettacolo non era mai stato rappresentato in Italia. Thea Dellavalle ha fatto la traduzione e la regia. Too Late ti entra dentro di colpo, passando attraverso l’inconscio collettivo che si adatta e si trasforma fino a diventare l’inconscio individuale. La scenografia di Francesco Esposito aiuta a capire.

Dal letto emergono i fantasmi 

Una stanza spoglia, grigia, scarna. Ci sono un piccolo armadio, due panche, due mobiletti e un letto matrimoniale che è la chiave di volta di tutto. Ospita amplessi e scene di amore che in realtà sembrano tutto tranne che amore vero, profondo, emozionante, dirompente. E’ un amore freddo, tra due personaggi (non persone) che pensano di amarsi ma in realtà  si frequentano solo superficialmente. Si frequentano, appunto: non entrano nel profondo l’uno dell’altro. Non vedono la sua essenza, i suoi desideri. Soprattutto l’uomo proietta sulla moglie l’immagine di quello che secondo lui è amore. Proietta un rapporto matrimoniale perfetto su una donna che non la vuole più, questa perfezione. Incomunicabilità schietta, alla Bergman.

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Ma in realtà non stiamo vedendo due coniugi in carne e ossa: stiamo vedendo due fantasmi. In mezzo al letto, coperto dal piumino, c’è nascosto un buco che mette in collegamento la scena con l’oscuro profondo emozionale da cui riemergono gli spettri del passato. Durante il sonno, l’inconscio fa sentire la sua voce, ed esce dal buco. Abbiamo in scena cinque personaggi che interagiscono solo a coppie, oppure che proprio nessuno sulla scena vede.

Nora è in scena, ma nessuno la vede

La padrona di casa è Nora (qui interpretata da una grande Anna Bonaiuto) ed è proprio quella di Casa di Bambola, di Ibsen: Jon Fosse ci dice che stiamo assistendo al seguito del capolavoro ibseniano, nel testo ci sono citazioni e riferimenti espliciti. Ma nessuno vede Nora, nessuno parla con lei. Gli altri sono fantasmi del passato: la Nora di un tempo (Irene Petris) e il suo ex marito (Giuseppe Sartori); il suo ex marito e la sua nuova fiamma (Roberta Ricciardi) che viene amata nell’identico modo unidirezionale che ha portato al divorzio con Nora.

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Il confine tra presente e passato, tra realtà e fantasia è estremamente labile. E poi c’è lui, l’ombra (Emanuele Righi), la presenza più inquietante: non lo vede nessuno, ma c’è. Segue l’ex marito di Nora come un’ombra, appunto. L’ombra è la proiezione oscura dell’essere umano, ed anche il suo inconscio inconfessabile.

Il lieto fine non c'è, poi arriva la morte

Di solito siamo abituati al lieto fine: la donna si ribella alla morsa asfissiante del marito, che la richiude in una casa di bambola; poi scappa, trova la sua strada e si realizza. Questa Nora, invece, ha rotto con il marito per vivere da sola e fare la pittrice: ma non ha successo con i suoi quadri. E allora forse l’ombra del marito parla anche per lei: l’ombra è stanca, mortalmente stanca. Non vede l’ora di addormentarsi per sempre alla fine della vita: che arriverà presto, visto l’inesorabile scorrere del tempo. Too Late: è troppo tardi, appunto.

Visto il 22-03-2025
al Gustavo Modena di Genova (GE)