Si rinnova l'appuntamento periodico con una manifestazione teatrale unica nel suo genere.
Fervono i preparativi per l’allestimento degli spettacoli classici al Teatro Greco di Siracusa, secondo una formula ormai collaudata negli anni dall’Istituto nazionale dramma antico (INDA) -che gestisce l’evento- per cui si realizza un mirabile connubio tra un cartellone incentrato su una scelta tematica di fondo -nell’odierna edizione, tre grandi e tormentate figure femminili- ed un parterre di attori e registi dai nomi eccellenti.
Elettra di Sofocle, interpretata da Federica Di Martino, per la regia di Gabriele Lavia, e Alcesti di Euripide, con Galatea Ranzi protagonista e la regia di Cesare Lievi, debutteranno rispettivamente il 13 e 14 maggio, per poi alternarsi in questa sequenza fino al 19 giugno. Seguirà, come da tradizione, a chiusura della trilogia, la messa in scena, dal 23 al 26 giugno, di uno spettacolo ‘alternativo’ rispetto alla tragedia greca di età classica, la Fedra del filosofo stoico Seneca, impersonata da Imma Villa e diretta da Carlo Cerciello: ancora un approfondimento nel genere tragico del mondo latino del I sec. d. C., come già sperimentato lo scorso anno con la Medea dello stesso autore. Si tratta di un’epoca storica (distante ben cinquecento anni dal periodo d’oro della tragedia attica) caratterizzata da una particolare sensibilità artistica, molto affine, per certi versi, a quella moderna; in passato, per fedeltà alle norme vigenti nelle competizioni sceniche della Grecia antica, si era invece preferito concludere con un dramma satiresco o una commedia.
Sono state inoltre previste alcune giornate a prezzo ridotto (15€) per i soli residenti a Siracusa, il 6, 7 e 26 giugno, al fine di incentivarne la partecipazione e rendere così questo evento, emblematico ed identitario rispetto al territorio che lo esprime, davvero alla portata di tutti i suoi abitanti; si spera inoltre nella futura estensione dell'iniziativa anche ai non residenti.
Infatti, pur con le enormi difficoltà, causate dalla distanza temporale e culturale che ci preclude una comprensione oggettivamente fondata del teatro antico, nelle storie ivi narrate è tuttora possibile scorgere quel filo conduttore, costituito dalle grandi narrazioni di cui si sostanzia la nostra esistenza, e ai cui schemi obbedisce il nostro comportamento, proprio in quanto connaturati al genere umano.
L’infinita saga di omicidi e tradimenti tra consanguinei che attanaglia la famiglia degli Atridi fa soltanto da sfondo, nell’Elettra, all’apoteosi dell’eroina protagonista, fiera ed indomita nel coltivare un odio senza quartiere nei confronti degli assassini del padre Agamennone: Clitemnestra, madre di Elettra e moglie della vittima, e il di lei amante Egisto, cugino dell’ucciso. Una porzione di mito che per Eschilo aveva rappresentato l’occasione per dibattere sulla giustificabilità della vendetta di sangue, e che Euripide aveva inteso come una squallida lotta per la riappropriazione del trono e dell’onore da parte dei due fratelli estromessi, Elettra e Oreste, in Sofocle diventa l’occasione per tracciare il ritratto di una lottatrice, una principessa trattata da reietta, pronta a compiere in prima persona il delitto, quando crede alla falsa notizia della morte del fratello: l’agnizione ritardata tra i due, dopo più di mille versi, è anch’essa funzionale alla messa in rilievo di Elettra. Dato che in questa tragedia non sussiste il classico schema narratologico ‘colpa-punizione-espiazione’, la si è definita “una tragedia senza tragico” e il carattere monocorde e piuttosto ossessivo di Elettra è pure servito agli studi psicanalitici per elaborare il corrispettivo femminile del personaggio di Edipo: così, per Freud, il “complesso di Elettra”, indicherebbe appunto la patologia che affligge le figlie femmine morbosamente innamorate del padre.
Tutt’altra tipologia caratteriale lascia trasparire la dolce Alcesti, pronta a sacrificare la propria stessa vita per rendere eterna quella del marito Admeto: un baratto che gli costerà l’isolamento da parte dei concittadini, per la viltà del gesto compiuto, ed un enorme senso di colpa a causa del sacrificio dell’amata. L’improvviso arrivo di Eracle consente però di recuperare Alcesti dall’oltretomba, con una degna ma bizzarra conclusione (infatti una tragedia, per definizione, ‘deve’ finire male): questo particolare, come i riferimenti all’argomento dello scambio di persona e al soprannaturale (tipici anche del genere fiabesco) hanno fatto ipotizzare che l’opera sia in realtà un dramma satiresco. Elemento comune alle due tragedie greche in programma, la sostanziale integrità delle figure femminili protagoniste, l’una - Elettra- animata da ardore di combattente, l’altra -Alcesti- devota e fedele, al punto da annullarsi in nome dei sentimenti.
Incredibilmente vicina al moderno sentire, ancor più delle eroine appena menzionate, la Fedra senecana, vittima di una pulsione proibita, che la condurrà a macchiarsi del reato di calunnia, determinando così la morte del figliastro Ippolito, tanto desiderato, fino a mettere fine alla propria stessa esistenza per sfuggire all’ignominia. Il particolare taglio del racconto suggerisce l’influenza del perduto (in quanto scandaloso?) Ippolito velato euripideo, caratterizzato da soluzioni stilistiche ardimentose per la tradizione greca classica -dichiarazione d’amore esplicita e calunnie rivolte vis-a-vis dalla matrigna al figliastro- poi puntualmente ripercorse da Seneca: ciò che importa, nella sua Fedra, un lavoro -come tutto il teatro latino di età imperiale- forse destinato alla sola lettura, è proprio l’indugiare nella descrizione dei patimenti interiori della protagonista. Sempre presente sulla scena per l’intera durata del dramma, Fedra è però del tutto innocente rispetto ai tragici effetti prodotti da quello che è stato definito, appunto, il suo furor, un’ossessione da lei stessa addebitata a tare ereditarie: e si è disposti, mossi da umana pietà, perfino a perdonarle le odiose accuse rivolte ad un innocente come Ippolito, che non riesce, al contrario, a catturare la simpatia dello spettatore, per il razionale oltranzismo con cui difende il rifiuto dell’amore coniugale e, in generale, dell’universo femminile, per devozione ad Artemide.
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