La storia,la fortuna, il mondo dell'uomo che ha reinventato, tra '400 e '500, il mestiere dell'editore ed il moderno concetto di libro, contribuendo a fare di Venezia la capitale internazionale dell'editoria, esaminate in una ricca mostra curata da Guido Beltramini, Davide Gasparotto e Giulio Manieri Elia presso le Gallerie dell'Accademia in Venezia.
«La pittura ha Raffaello, la scultura Michelangelo, l'architettura Brunelleschi, la stampa Aldo Manuzio (…) un genio assoluto, un innovatore, un rivoluzionario; un punto di svolta della storia» scrive Alessandro Marzo Magno nel suo L'alba dei libri, intrigante saggio sull'editoria veneziana (sottotitolo: “Quando Venezia ha fatto leggere il mondo”).
E non esagera affatto, perché Aldo Manuzio, raffinato ed erudito intellettuale, che dopo aver girovagato dalla nativa Bassiano tra Roma, Ferrara e Carpi finisce con l'inserirsi nel fervido ambiente culturale veneziano - un ambito di appassionati cultori della classicità, animato da menti aperte come quelle di Domenico Grimani, Girolamo Don, Pietro Bembo - diventò editore quasi per caso; ma un editore dalle caratteristiche assai peculiari, se non uniche. Un uomo cioè capace di rivoluzionare da subito il concetto stesso di un'attività allora fiorentissima in Venezia – la capitale assoluta, editorialmente parlando, dell'Europa - e che svolse poi con enorme successo per circa vent'anni: muovendo le mosse dal 1495, con la pubblicazione in associazione con il già esperto Andrea Torresani degli Erotemata, celebrata grammatica greca di Costantino Lascaris, e proseguendo poi un percorso solitario che giunse sino al 1515, quando un mese prima di morire licenziava il De rerum natura di Lucrezio, estrema sua impresa editoriale. Un percorso nel quale trasformò, di fatto, il mestiere stesso dello stampatore, elevandolo da basso artigianato a vera e propria arte; al punto da essere definito il “principe degli stampatori” per l'eleganza e la cura maniacale delle sue pubblicazioni, per le quali concepì nuovi caratteri e rinnovò la punteggiatura, adottando per primo la più scorrevole e fine scrittura in corsivo.
Aldo Manuzio stampò con massima accuratezza soprattutto grandi classici greci e latini – come Aristotile, Euripide, Tucidide, tutti in eleganti caratteri originali, o come Giovenale, Ovidio, Cicerone, Orazio, Virgilio, e tanti altri - rendendoli così più disponibili e diffondendone la fruizione diretta; ma editò pure opere di scrittori più vicini come Dante e Petrarca, ed ovviamente anche di taluni autori del suo tempo. A lui si affidarono infatti, per dire, Erasmo da Rotterdam che, allo scopo di seguirne direttamente la stampa, dimorò un anno a Venezia ospite di Aldo stesso; ed Iacopo Sannazaro per la sua Arcadia, formidabile medium di diffusione europea dei miti antichi, il poeta ed amico Pietro Bembo per gli Asolani e e il De Aetna, l'architetto Giovanni Giocondo per i Libri de re rustica, che affrontano l'edilizia del “vivere in villa”. Del tutto innovativa fu poi l'adozione di un formato più piccolo “in ottavo” – allora detto “enchiridio”, cioè da tenere in mano, oggi lo chiamiamo tascabile – che permettesse di recare con sé facilmente un testo, per leggerlo in viaggio o nella quiete di un ombroso giardino: un vero e proprio status symbol delle classi colte ed agiate, visto un costo comunque pur sempre rilevante. A questo proposito, si potrebbe dire che fu per merito suo che la lettura divenne anche uno svago, un piacere intimo destinato ad una platea più vasta – le sue ricercate edizioni petrarchesche raggiunsero tirature per l'epoca ragguardevolissime - e non più solo uno strumento di studio nelle aule universitarie o di meditazione claustrale.
Ma soprattutto, a Manuzio – intellettuale di prim'ordine oltre che imprenditore, perfettamente a suo agio nei raffinati circoli umanistici veneziani - si deve quello che universalmente viene considerato il libro più bello mai pubblicato, la Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, le cui elegantissime composizioni tipografiche sono arricchite dalle 172 evocative xilografie del padovano Benedetto Bordon.
A quest'uomo eccezionale, all'entourage artistico e culturale della Venezia del primo Cinquecento ma soprattutto alle sue splendide imprese editoriali – presenti in mostra in grande numero - è dedicata presso le Gallerie dell'Accademia la mostra “Aldo Manuzio – Il Rinascimento di Venezia” che resterà aperta sino al 19 giugno, nell'ambito della quale è anche possibile ammirare una nutrita serie di documenti e di opere ricollegabili al suo mondo, ai suoi interessi ed ai suoi anni di attività. Si può cosi godere di una oculata scelta che raccoglie testimonianze artistiche molto varie, dalla pittura ala scultura, dalla medaglistica all'oreficeria, molte provenienti dall'estero, con le firme di Tullio Lombardo, Jacopo de' Barbari, Vittore Carpaccio, Bartolomeo Veneto (la Flora di Francoforte) Giovanni Bellini, Vincenzo Catena (il San Girolamo da Londra), Cima (la Sant' Elena dalla Kress Collection di Washington), Andrea Riccio, Lotto (L'allegoria del vizio e della virtù, ancora da Washington, ed il Ritratto di Laura Pola), Giorgione (La tempesta), Tiziano (il probabile Ritratto di Jacopo Sanazzaro da Londra), Parmigianino (Ritratto d'uomo con petrarchino da Montecarlo), Palma il Vecchio (Ritratto di donna con libro da Lione) - ci limitiamo a citare i nomi più illustri – esposte con le coeve edizioni aldine nelle sale inferiori dell'Accademia che ospitano l'interessante rassegna che resterà aperta sino al 19 giugno.