Amleto è uno dei grandi personaggi creati dal genio del grande drammaturgo che, come la maggior parte degli eroi shakespiriani non viene giudicato per il suo modo di agire: Shakespeare non esprime mai condanne morali nei confronti dei suoi eroi, egli si limita a presentarli al lettore/spettatore così come sono. Questa tragedia, scritta prima del 1607, riunisce in sé i temi propri del Medioevo e del Rinascimento: la morte, il tempo, la vanità, la follia, ma non solo. Amleto ci parla, tra le righe, anche dell’Inghilterra di Shakespeare, anche se qui, l’autore la cela dietro al nome di Danimarca.
Amleto è un principe (che ci ricorda molto anche il Cortegiano di Castiglione) che arriva ad uccidere il patrigno, per vendicare la morte del padre; quest’ultimo gli si presenta , probabilmente mandato da un essere supremo (potrebbe essere Dio, ma non necessariamente), per rivelare al figlio di essere stato vittima di un omicidio premeditato ed ora, poiché morto senza essersi potuto liberare, previa confessione, dei propri peccati, è costretto alla pene del Purgatorio. Questa sofferenza del fantasma/padre fa sì che il progetto di vendetta di Amleto sia più crudele.
Amleto è il principe/eroe che uccide per vendicare la morte del padre, dunque la sua azione è vista in modo positivo, è giustificabile, risponde alle “regole” del cavaliere medievale, egli difende l’onore.
Sicuramente uno dei punti di forza di questa tragedia, è il soliloquio (ce ne sono ben cinque in tutta l’opera) di Amleto: che rappresenta il vero momento di lucidità di un uomo che si finge pazzo per perseguire il suo scopo. È nel soliloquio che il principe esprime i suoi pensieri più profondi, invitando il lettore/ascoltatore a riflettere. Uno dei passaggi più importanti è nel terzo soliloquio (Atto III, scena I): “Essere o non essere, questo è il problema”; ovvero, chi è da considerarsi più grande, colui che si sottomette ai capricci della fortuna e del destino o colui che combatte contro le avversità? Shakespeare non manca di sottolineare, che una via di fuga dalle sofferenze c’è: il suicidio. Pur tuttavia, pochi vi ricorrono. Perché? Semplice, perché non si sa cosa ci sarà dopo. È la paura dell’ignoto, del mistero, che frena l’uomo dal compiere un tale gesto e lo incatena in questo mondo, che il drammaturgo descrive, per bocca di Gertrude (madre di Amleto) come “Un passaggio verso l’eternità” e fa sì ch’egli sopporti tutte le avversità.
Questa tragedia non manca di colpi di scena (si veda, ad esempio, la morte di Polonio) e di grandi personaggi (Ofelia, Laerte e il fantasma); ma è anche un’ottima testimonianza, per coloro che sono interessati al mondo del teatro, alla sua storia, per conoscere più da vicino il modo di recitare delle compagnie di teatro dell’epoca. Ricorrendo alla tecnica del “teatro nel teatro” Shakespeare permette al lettore di oggi di potersi avvicinare e conoscere più da vicino il mondo teatrale elisabettiano, di quelle compagnie che venivano ingaggiate dai principi per intrattenere i propri ospiti.
W. Shakespeare
(a cura di Nemi D’Agostino)
“Amleto”
Ed. Garzanti S.p.A
1984
Adele Zavadlav
Teatro