Dopo la positiva esperienza di due anni fa con Les Huguenots di Mayerbeer, il Teatro Le Monnaie di Bruxelles ripropone la riscoperta di un grand-opéra francese grazie al collaudato binomio Minkowski – Py, direttore e regista. Hamlet di Ambroise Thomas (1811-1896) fu uno dei più duraturi successi del compositore francese. L’omonima tragedia di William Shakespeare viene però in alcuni punti stravolta, assumendo un carattere romantico di cui la commedia inglese ne è priva ma che il gusto francese di metà ottocento esigeva. Sparisce nell’opera di Thomas la notoria ironia del protagonista a favore di un risvolto più intimista e di una tensione sentimentale di Amleto verso il padre; la regina Gertrude diventa poi partecipe dell’assassinio del marito, rendendo il delitto non più una supposizione ma una realtà concreta con cui i personaggi della madre di Amleto e di Claudio devono confrontarsi fino alla fine. Non manca la scena della follia di Ofelia, resa splendidamente in un monologo nel quarto atto; così – nel medesimo quarto atto - pure tutta una serie di ballabili, caratteristica del grand-opéra, di cui la versione odierna ha mantenuto solo l’introduzione Voici la riante saison. Rappresentata per la prima volta all’Opéra di Parigi il 9 marzo 1868, Hamlet ebbe un successo trionfale, tanto che entrò subito nel repertorio dei principali teatri mondiali, cantata dai migliori cantanti dell’epoca, andando via via scomparendo con l’affievolirsi del gusto del pubblico verso il grand-opéra. La musica di Hamlet è leggera, facile, melodiosa, pensata per piacere al pubblico popolare del Secondo impero, a cui deve l’enorme successo, e non è priva di pagine di notevole bellezza che affascinano ancora oggi.
Il risvolto noir che Thomas riesce a dare al testo shakespeariano, viene percepito splendidamente dal regista Olivier Py che avvolge il dramma di nero. Nere sono le magnifiche scene di Pierre-André Weitz, che riproducono questo ambiente claustrofobico di una cripta, ma che potrebbe essere anche un castello o un manicomio, con enormi scalinate e volte che si muovono, dando una continua idea di movimento e di scorrere inesorabile del tempo e di labirinti in cui la psiche di Amleto è immersa, oppure una tomba in cui i protagonisti sono sepolti nel loro inesorabile destino. Neri sono i costumi e in questo non colore solo una bandiera rossa portata da Laerte, simbolo di una libertà oppressa, comparirà in scena a rompere il nero dell’oppressore. Py non nasconde la sua intenzione di voler aderire più al dramma di Shakespeare che non all’idea di Thomas e la follia del protagonista viene messa in luce in modo chiaro ed evidente, come l’ossessione per il padre morto, racchiuso in un’urna cineraria che diventa quasi un feticcio per Amleto, oppure nello Spirito onnipresente e che sembra voler guidare e muovere le azioni del figlio succube di una pazzia che pare voluta. Questa capacità di Py nel cercare di avvicinare coerentemente i due lavori si vede chiaramente nella rimozione dei ballabili, oppure nel finale con la morte del protagonista, che riprende quella andata in scena al Covent Garden nel 1869. Il regista riesce a rendere perfettamente il carattere e la psicologia dei personaggi e riempie di particolari e situazioni che immergono lo spettatore in momenti di grande tensione, anche se a volte Py si lascia prendere la mano cadendo nel trash, come quando evidenzia un legame incestuoso tra Gertrude e Amleto (il protagonista è completamente nudo in una vasca da bagno), oppure quando Ofelia lancia mattoni. Calibrato e di grande effetto il ruolo delle luci, opera di Bertrand Killy. Riuscita anche la pantomima de L'assassinio di re Gonzaga, grazie all’abilità dei ballerini e all’intricato gioco di ruoli che Py è riuscito a rendere, con la onnipresente figura dello Spettro.
A differenza di Py che sceglie di avvicinarsi più al testo di Shakespeare, il maestro Marc Minkowski, alla guida dell’Orchestra sinfonica del Théâtre Royal de la Monnaie, si immerge profondamente nelle pagine di Thomas. La direzione di Minkowski è attenta e generosa, riuscendo a penetrare in pieno il grand-opéra, genere in cui è esperto indiscusso, lasciandoci momenti di grande intensità, come le scene corali e le pagine più intime dei monologhi di Amleto e di Ofelia.
Nel ruolo del titolo Franco Pomponi ha dato una prova eccelsa: la bella voce baritonale non troppo scura è sembrata adatta al ruolo; ottima dizione, possiede una vocalità incisiva e ricca di colori; inoltre l’abilità attoriale e drammatica e il fisico molto prestante hanno permesso che fosse pienamente nella parte. Vincent Le Texier in Claudius ha dato una prova più che sufficiente, la voce è buona, ma è parsa affaticata senza diminuire la tensione drammatica. ISylvie Brunet-Grupposo ha rivestito il ruolo della regina Gertrude, cogliendo in pieno l’idea registica della donna depravata e assassina: la Brunet-Grupposo ha un grande temperamento, che mette a servizio di una voce brunita e convincente. Personaggio fragile e delicato, Ophélie è stato interpretato degnamente da Rachele Gilmore, con voce voce chiara, pulita, con un buon fraseggio, però è in alcuni punti debole per emissione. Fragile il Laërte di Rémy Mathieu. Buona la prova di Henk Neven e Gijs Van der Linden, rispettivamente in Horatio e Marcellus. Degno di menzione Jérôme Varnier, in Le Spectre du feu Roi; nonostante la breve parte ha messo in evidenza uno strumento vocale di grande interesse.
Il Coro del Teatro Le Monnier, ha cooperato magnificamente alla riuscita dello spettacolo, in un’opera in cui il suo ruolo è fondamentale: la preparazione dovuta al maestro Martino Faggiani è evidente.
Il Théâtre Royal de la Monnaie era al completo per la sesta serata (e ne mancavano altre sette). Un pubblico eterogeneo, come i grandi Teatri europei ci insegnano, attento e appassionato, che ha gradito il lavoro, la bella e spettacolare regia e i cantanti, tributando meritati applausi soprattutto a Pomponi, alla Gilmore e alla Brunet-Grupposo.