In un concerto alla Stiftkirche Wilten di Innsbruck, due capolavori mozartiani con l'orchestra ed il coro Academia Montis Regalis diretti da Alessandro De Marchi.
Breve premessa: a Bergheim, località poco distante da Salisburgo sorge la basilica di Maria Plain dedicata alla Madonna Assunta, un tempio barocco edificato tra il 1671 ed il 1674 dall'italiano G.A.Dario. Al suo interno si trova un'immagine miracolosa della Vergine Maria che da secoli è venerata dal popolo e meta di pellegrinaggi. Nel 1751 il quadretto, in segno di pia devozione, venne “incoronato” con un ricco diadema aureo, e da allora ogni quinta domenica dopo Pentecoste – al termine di giugno, cioè – è consuetudine celebrare una messa che commemora quell'avvenimento.
A fine marzo del 1779, al ritorno dagli infruttuosi soggiorni a Parigi ed a Menneheim, Mozart terminò una nuova messa che, come tradizione vuole, venne da lui ideata proprio per sciogliere un voto fatto alla Madonna di Maria Plain. E' quella che è conosciuta appunto con il nome di Messa dell'Incoronazione KV 317, scritta nella luminosa tonalità di do maggiore; lavoro dunque composto non per l'arcivescovo Colloredo come le precedenti analoghe liturgie, ma per sé. Di certo la recente permanenza a Mannheim aveva arricchito ulteriormente il bagaglio professionale di Mozart; fatto sta che la costruzione di questa messa rispetto a quelle precedenti appare più elaborata e grandiosa, oltre a presentare contrasti interni insolitamente marcati. Ed è anche più raffinata - vedi l'arioso solo del soprano nell'Agnus Dei, che nelle battute iniziali anticipa il «Dove sono» delle Nozze di Figaro - e decisamente più “spirituale”, come dimostrano il solenne impianto prevalentemente corale che ha il suo apice nella potente dottrina del Credo.
Composti un anno dopo, i Vesperae solemnes de confessore KV 339 – dedicati ad un non identificato martire della Fede, ed ancora in tonalità di do maggiore - sono al contrario l'ultimo dei tanti lavori mozartiani destinati alla liturgia del Duomo di Salisburgo. Otto brevi pagine, dal Dixit Dominus al fastoso Magnificat conclusivo, in aristocratico equilibrio tra lo stile sapiente del contrappunto barocco ed il più attuale ed esornativo gusto rococò. Il primo testimoniato dall'ortodossia del Dixit, del Confitebor, del Beatus Vir; il secondo, dal famoso Laudate Dominum, né più né meno che un'aria per soprano dalle tenere arcate liriche poggiate su di un garbato accompagnamento a sestine.
Vesperae solemnes e Messa dell'Incoronazione stavano nella locandina del concerto che Alessandro De Marchi, gli strumentisti ed il coro della Academia Montis Regalis hanno offerto – in memoriam del grande Nikolaus Harnouncourt – nella maestosa navata barocca della Chiesa Abbaziale di Wilten, e nel quadro delle Innsbrucker Festwochen der Alten Musik di cui De Marchi è direttore artistico.
Esecuzioni, diciamo subito, tutte di altissimo livello: precise, eleganti e raffinate, e mille miglia lontane dalla routine chiesastica che ahimè spesso capita di incontrare, dal vivo ed in disco. E questo perché Alessandro De Marchi non solo ha concertato con quella salda professionalità che ben conosciamo, ma in più ha saputo evocare nella sua limpida interpretazione un'affettuosa ed umana spiritualità, che vivifica dall'interno queste grandissime pagine religiose; e poi, cosa importantissima, ha trovato un'intesa perfetta con ogni sezione del vasto organico di fronte a lui. Impeccabile qualsiasi parte dell'orchestra, a cominciare dagli archi e dal primo violino Olivia Centurioni; precisissimo il coro preparato con amorevole cura da Claudio Cavazza, con in più quel suono morbido ed intenso che solo le voci italiane credo sappiano donare; ed indovinata la scelta dei quattro giovanissimi solisti: il soprano austriaco Christina Gansch (amici miei, con lei che incanto l'Agnus Dei ed il Laudate Dominum!), il mezzosoprano anglo-francese Emilie Renard, il tenore inglese Rupert Charlessworth, il basso ungherese Marcell Baronyi. Cantanti tutti usciti vincitori nelle recenti edizioni del Cesti-Wettbewerb, il concorso di vocalità antica che si tiene nella capitale tirolese.
Nulla, comunque, a confronto con l'emozione provata nel bis dell'Ave Verum Corpus, eseguito con calore e perfezione tali che le voci parevano scendere a noi direttamente dal Cielo, e non salire dai gradini del presbiterio di Wilten. E va bene, qui abbiamo pure pianto di vera commozione.