“Da una casa di morti” (Z mrtvého domu) è l'ultima opera di Leoš Janáček, composta nel 1927/28 e basata sulle oscure memorie di Dostoevskij dalle prigioni zariste (“Memorie da una casa di morti” del 1861/62). Quasi scomparsi gli elementi legati al folklore, qui si fanno più cupi gli accenti di desolato pessimismo, come a richiamare il clima spirituale tormentato dell'espressionismo.
Opera in tre atti su libretto dello stesso Janáček, Da una casa di morti debuttò al teatro Nazionale di Brno nel 1930, due anni dopo la morte del compositore. Nella stesura originale il libretto presentava un impasto linguistico di russo, ceco e dialetti slavi, ma venne ridotto in ceco dal regista Otakar Zitek in occasione della prima.
Dramma quotidiano dei detenuti in Siberia visto attraverso gli occhi di un nuovo arrivato, prigioniero politico, Da una casa di morti è una anti-opera nel senso che Janáček ha riorganizzato radicalmente la materia del romanzo di Dostoevskij, ripensando l'ordine e il significato degli episodi e persino il destino di alcuni personaggi, come sottolinea Cesare Fertonani nel programma di sala. Dal punto di vista costruttivo l'opera ha una struttura simmetrica: il primo e il terzo atto (accomunati da un'atmosfera di cupa disperazione) incorniciano il secondo, caratterizzato dall'intermezzo della rappresentazione teatrale che costituisce l'evento più atteso e la più grande illusione nella vista sempre uguale dei detenuti. Anziché uno sviluppo lineare, quindi, la temporalità dell'opera disegna un percorso circolare: l'inizio corrisponde alla fine. Rispetto a Dostoevskij, poi, Janáček enuclea con forza il tema della passione erotica come mera pulsione sessuale, distruttiva e devastante. In Da una casa di morti non c'è alcun intreccio né alcun protagonista: i personaggi vivono un'esistenza miserabile e ripetitiva, avvitata su se stessa e priva di qualsiasi prospettiva, un'esistenza che assomiglia alla morte; la vita è altrove e le passioni, gli accadimenti, i crimini appartengono ad altri piani rispetto alla realtà del quotidiano.
La consapevolezza del compositore che questo sarebbe stato il suo ultimo lavoro e, in un certo modo, il suo testamento spirituale, appare chiaro da una lettera dell'ottobre 1927 all'amata Kamila.
Alla Scala va in scena una nuova produzione per la regia di Patrice Chéreau in collaborazione con Thierry Thieu Niang, scene Richard Peduzzi, costumi Caroline De Vivaise, luci Bertrand Couderc. Sul podio l'attesissimo Esa-Pekka Salonen alla guida di orchestra e coro della Scala, quest'ultimo preparato da Bruno Casoni. Nel cast: Willard White, Eric Stoklossa, Stefan Margita, Peter Straka, Vladimir Chmelo, Jiri Sulzenko, Heinz Zednik, John Mark Ainsley, Jan Galla, Peter Hoare, Peter Mattei, Andreas Conrad. Sei le recite in calendario: 28 febbraio, 2/5/6/13/16 marzo.
Ulteriori informazioni sul sito del teatro alla Scala.
FRANCESCO RAPACCIONI
Teatro