Teatro

Dal conservatorio al teatro: la storia di un allevamento di mucche

Dal conservatorio al teatro: la storia di un allevamento di mucche

Sicuramente una messinscena che ha colpito e soprattutto stupito quella de “La cambiale di matrimonio” andata in scena al teatro Romolo Valli di Reggio Emilia. Questa farsa giovanile, che Rossini scrisse appena diciottenne per il teatro San Moisè di Venezia nel 1810, è frutto di una collaborazione con il conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, da cui provengono tutti gli interpreti: undici studenti di canto coordinati da Lelio Capiluppi e Donatella Saccardi e, nella «buca», l’Orchestra del Conservatorio. Scene e costumi invece sono stati affidati ad allievi del Liceo Artistico «Paolo Toschi» e dell’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato «Primo Levi». Ed è proprio per questa scelta “giovane” che probabilmente non ci si aspettava un livello così alto e un lavoro che mostra chiaramente impegno, serietà e professionalità. Nulla è lasciato al caso, allontanando dalla mente di qualsiasi spettatore il sibillino pensiero che si stia per assistere a un saggio di allievi di una scuola di canto.


Il regista, Andrea Cigni, ha creato una cornice giovane, divertente e “nostrana”, scegliendo di trasformare il negoziante Tobia Mill in un ricco allevatore di vacche da latte e nella sua dimora, che sa un po’ di casale emiliano, circondato da stalle, pascoli e barchesse, e un po’ di casa anglosassone di campagna (aspetto accentuato anche dai costumi anni ’20 di Valeria Donata Bettella), fa succedere le vicende legate a questa galeotta cambiale di matrimonio.
Cigni gioca abilmente con fluidi cambi scena, grazie a pareti scorrevoli che caratterizzano perfettamente le varie stanze e ambienti, dando profondità e respiro all'azione, eliminando la monotonia di un unico ambiente e aumentando la dinamicità delle vicende, costruendo situazioni divertenti e mai scontate. Di grande impatto il finale nel quale gli interpreti principali agiscono a cavallo delle mucche abilmente manovrate da servi di scena, fino ad ottenere il bellissimo quadro d'assieme del sestetto conclusivo. Un dichiarato omaggio di Andrea Cigni al Rinaldo firmato da Pier Luigi Pizzi del 1985.
Come quando, all’inizio di un film, si rimane in silenzio davanti al leone ruggente della Metro Goldwyn Mayer, entrando in sala si viene accolti dalla gigantesca scritta «Allevamenti Mill» attorno a un bel muso vaccino dipinto, un suono di campanacci e all’attaccare della sinfonia inizia una sfilata di bovini, perché venga votata la vacca più bella, alla presenza di una comica giuria metà en travesti. 


Il ricco mercante (allevatore in questo caso) Tobia Mill promette in sposa, dietro la firma di una cambiale di matrimonio, sua figlia Fanny all’americano Slook. Ella, innamorata e ricambiata dal giovane Edoardo Milfort, non ha nessuna intenzione di sottostare a questa ingiustizia e, con l’aiuto degli inservienti Norton e Clarina (registi e spettatori allo stesso tempo della vicenda) riusciranno a superare l’ostacolo e a vivere felici.
Il ruolo di Mill, un basso buffo, viene interpretato da Marco Granata, dotato di una bella voce, sonora e rotonda e di molta teatralità e temperamento. Fanny invece, una ragazza furbetta e civettuola è stata perfettamente impersonata dal soprano giapponese Nao Yokomae, che svetta per la voce limpida e ben proiettata, sicura e squillante nel registro acuto: è anche brava attrice, simpatica e disinvolta sulla scena. La coloratura non è forse brillante ma se non altro ha il pregio di mantenersi sufficientemente fluida. Come lei arriva dal Giappone anche Fumitoshi Miyamoto, che interpreta Slook, il vecchio pretendente americano, qui trasformato in un ricco texano un po’ volgarotto, reso sul palco in maniera perfettamente caratterizzata. Lorenzo Caltagirone interpreta il geloso e un po’ impacciato Edoardo Milfort, che, in conformità all’omaggio territoriale della regia, si presenta, vestito alla Bert di Mary Poppins, al nuovo datore di lavoro con un insaccato come presente. Timbro giovaline e fresco, adatto al personaggio. Un un plauso particolare va all’irresistibile Norton di Andrea Pellegrini, bravo tanto in scena quanto vocalmente, probabilmente la voce migliore di tutto la spettacolo per suono, colore, timbro ed emissione. La scelta registica di dare un carattere effeminato al maggiordomo è stata resa in maniera disinvolta e divertente da Pellegrini, mostrando indiscusse doti da attore. Unico piccolo neo la Clarina di Federica Cacciatore, dalla voce un po’ petulante e spoggiata.


Francesco Cilluffo, subentrato “in corsa” alla produzione, ha saputo benissimo tenere le briglia di questa Cambiale, sempre con tocco leggero e con chiara visione di buca e palco. Bene anche la prova dell’Orchestra del Conservatorio di Musica Arrigo Boito di Parma.


Spettacolo quindi gustoso e divertente (come deve essere il Rossini dell’opera buffa), che ha saputo mischiare nelle giuste proporzioni quegli aspetti attuali e surreali che rendono questi capolavori belli e accattivanti ora come duecento anni fa. Meritatissimi gli applausi per questa produzione giovane ma tutt’altro che inesperta.