Harold Pinter, nato a Londra nel 1930, si avvicinò al teatro come attore ma ben presto il suo interesse si spostò sulla drammaturgia. Ottenne un notevole successo con opere come “Il calapranzi” o “Il guardiano” e poi ancora con altri drammi e sceneggiature fino alla conquista del Premio Nobel per la letteratura nel 2005.
La selezione di dialoghi e monologhi offerta in questa pubblicazione rappresenta una scelta curiosa e non banale di pezzi brevi e di frammenti che pur restituiscono perfettamente le atmosfere inquietanti insite nella penna dell’autore. Comune denominatore di queste “short stories” sono certamente l’incomprensione umana, la difficoltà di vera comunicazione tra gli individui, l’isolamento di ogni persona, la sua incapacità di esprimere sé stessa, la parzialità del linguaggio. I singoli pezzi, oltre a rappresentare una lettura interessante, si prestano naturalmente per monologhi e provini nelle scuole di recitazione o a percorsi di confronto tra drammaturgie e scritture differenti nel ‘900.
Definito da molti lo scrittore inglese di prosa “più incisivo” dei nostri anni, Pinter scrive in perfetto stile novecentesco mettendo in chiare lettere tutte le stonature, le ansie e le incongruenze del nostro secolo. Qualche pezzo tra i qui presenti rivela però un fine umorismo dell’autore impastato con la drammaticità della situazione descritta, in un perfetto contrasto tipico nell’uomo contemporaneo.
Le opere raccolte in questo volume dall’editore Gremese sono state composte tra il 1949 e il 1977 e trasudano modernismo, crisi generazionale, atmosfere da epoca di contestazione, di perdita dei valori, di dissoluzione della società tradizionale. Pinter è ancora oggi un autore da teatro civile, un autore schierato, un autore che affronta nodi sociali e che non si nasconde ai risvolti politici, a volte sacrificando persino l’arte in favore del messaggio e privilegiando il fine sociale rispetto alla forma. Ognuno ha il suo modo di pensare la società. L’importante è a mio parere non dimenticare che il teatro è finzione, che il teatro e la vita non sono la stessa cosa e soprattutto non dimenticare il godimento del pubblico.
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