Teatro

I vespri siciliani dell'oggi a Reggio Emilia

I vespri siciliani dell'oggi a Reggio Emilia

La stagione lirica 2013 – 14 del teatro Municipale di Reggio Emilia apre con un omaggio al maestro Verdi a conclusione dell’anno del bicentenario. I Vespri Siciliani è una delle opere che Verdi scrisse per l’Opèra di Parigi e che debuttò il 13 giugno 1855 con il titolo francese Les Vêpres siciliennes. Si tratta di un vero e proprio grand-opéra in cinque atti con grandi scene di massa e balletti, un po’ fuori dallo stile verdiano votato alla concisione drammaturgica e forse, anche per questo, l’opera, pur entrando pienamente in repertorio, non ha mai riscontrato il favore entusiastico di altri titoli. Dopo il felice esito parigino, si pensò subito di portare Les vêpres siciliennes in Italia e, con la versione italiana del libretto del poeta Arnaldo Fusinato, venne rappresentata a Parma il 26 dicembre 1855. Proprio questa versione, dopo un secolo e mezzo di assenza, apre il sipario di Reggio, nell’allestimento che il regista Davide Livermore realizzò per il teatro Regio di Torino in occasione dei 150 anni dell’unità nazionale e qui recensito da Francesco Rapaccioni. Una produzione prestigiosa che meritò al regista il Premio Musical America 2012.

Livermore parte da una riflessione sulla cittadinanza e sulla contemporaneità di un messaggio come quello di Verdi nel contesto della Sicilia della strage di Capaci e in un’Italia evanescente e piena di contraddizioni. Quale Risorgimento migliore della Sicilia risollevata dal sangue di Falcone e Borsellino e degli uomini della scorta? Un’attualizzazione che cerca di evitare banalità e luoghi comuni, non sempre riuscendoci, di facile effetto con un’idea registica di difficile lettura e analisi; la profonda riflessione che è dietro all’idea di Livermore e che riconduce nel finale alla forza di reagire del popolo siciliano e italiano davanti alle costrizioni politiche, mafiose, sociali, anche dopo settecento anni è l’idea portante di questo lavoro. Il passato parla del presente, come per esempio il discorso di Elena ai siciliani, che vuol ricordare anche con immagini molto eloquenti quello della vedova di Schifani, il caposcorta di Falcone, ai funerali di suo marito nel Duomo di Palermo, quando scoppiarono il dolore e la rabbia degli onesti contro la violenza mafiosa e l’inefficienza dello Stato. Oppure Monforte divenuto il capo di una forza politica che ci ricorda molto da vicino il capo di uno dei partiti nazionali, o ancora il palazzo del potere francese che non può che riportare alla mente il Palazzo di Giustizia milanese.

I Vespri Siciliani di Livermore sono una denuncia, oltre che una riflessione, dell’Italia contemporanea, non solo quella delle stragi di mafia, ma anche quella vuota  della tv trash, del cinismo di giornalisti e commentatori, della politica forte composta per tutto il tempo dell’opera da uomini con maschere. Così, per concludere la scena dei Vespri, essa viene ambientata in un Parlamento dove irrompe il popolo-coro togliendosi la maschera che portava sulla faccia, travolgendo i protagonisti… buoni e cattivi. La regia di Livermore porta alla riflessione indubbiamente e lascia quel senso di amaro civico che conduce al ricordo di tanti momenti tristi del nostro paese. Però presenta anche alcune zone d’ombra. L’opera si incentra sull’amore tra la duchessa Elena, sorella di Federigo d'Austria, con il giovane siciliano Arrigo, figlio del governatore francese Monforte, è una storia di amore e vendetta, di rivalsa e amore patrio, mentre l’episodio dei Vespri funge solo da sfondo alla tragedia. Livermore sembra avere ribaltato la situazione, per cui la vicenda amorosa è semplicemente un contorno a questi fatti di cronaca, così come le interessanti scene di Santi Centineo prevaricano e si staccano dal racconto. Il momento emotivamente e registicamente più riuscito è l’inizio del secondo atto, il ritorno in patria di Giovanni da Procida, che arriva in una scena buia e deserta, cantando O patria, o cara patria ... O tu, Palermo, e dove dalle nebbie buie pian piano si rende visibile lo svincolo autostradale di Capaci nell'attentato a Falcone e Borsellino, con le due che, bruciate e distrutte, emergono dal suolo come monito di questa patria provata.

La direzione del maestro Stefano Ranzani è stata efficace ed è riuscita a rendere pienamente il colore autentico dell'opera e valorizzare gli aspetti corali e l’introspezione dei vari personaggi. L’Orchestra Regionale dell'Emilia Romagna ha ben risposto al maestro, concedendo pagine di grande lirismo come la splendida Ouverture. Attento ed equilibrato, il maestro Ranzani ha saputo cogliere gli aspetti più espressivi e più ardui della partitura, con eleganza e scioltezza.

Ottima prova per il baritono coreano Mansoo Kim. Il cantante presenta una bella voce morbida ed espressiva, riesce pienamente a entrare nel personaggio, dando sfumature e carattere notevoli. La sua aria al terzo atto In braccio alle dovizie ha strappato meritatamente un lungo applauso. Si conferma il giudizio precedente per il Giovanni da Procida del basso Roberto Scandiuzzi: il personaggio è reso pienamente nella sua drammaticità e imponenza, la voce è sempre profonda, autentica, equilibrata, dotato di uno strumento eccezionale che mette qui al servizio di un personaggio intenso e passionale. Magistrale la sua O patria, o cara patria ... O tu, Palermo del terzo atto. Sofia Soloviy ha dato vita al personaggio di Elena. Prestazione discreta, migliorata dal terzo atto, dopo alcune incertezze iniziali. La voce è importante, ma spesso non sapientemente regolata. Buona presenza scenica. Non molto in forma il tenore Lorenzo Decaro in Arrigo. Dotato di voce discreta, nello spingerla eccessivamente ha dato lo spiacevole effetto del falsetto incontrando difficoltà negli acuti. Poca espressività scenica. Discreti l’insieme dei vari comprimari, tra cui sono emersi Oreste Cosimo in Danieli e Elisa Barbero in Ninetta.
Buona la prestazione del Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia preparato dall’esperto maestro Martino Faggiani.

Un Teatro gremito come per le grandi occasioni, pieno di volti noti della politica, della cultura e dello spettacolo locali, diviso su questo allestimento che non può non far discutere. Accolti trionfalmente Kim e Scandiuzzi, applaudito il resto del cast. Qualche contestazione per il regista Livermore.