La grandezza severa di "Armide" di J. B. Lully nell'ambito dell' Innsbrucker Festwochen der Alten Musik 2015
Sembra paradossale che a tenere a battesimo il lungo filone dell'opera francese sia stato un italiano, approdato giovanissimo alla corte di Luigi XIV: Giovanni Battista Lulli, o meglio Jean-Baptiste Lully, come sta apposto sulle sue partiture. Sul ruolo avuto nella creazione della longeva tradizione della tragédie-lyrique - genere che sopravvisse talmente a lungo da influenzare Gluck, Piccinni, Salieri, Spontini, ed arrivare alle soglie della Restaurazione – non serve spendere qui troppe parole. Assumendo nel 1672 la direzione dell'Académie Royale, Lully si comportò in seguito non solo da sapiente musicista ma anche da accorto cortigiano, e si propose come altri artisti - scrittori, pittori, architetti - di presentare la sua arte come manifestazione ed esaltazione del prestigio reale; e rappresentandovi dall'anno seguente e sino alla morte solamente propri lavori, nel corso degli anni codificò la struttura definitiva dell'opera sei-settecentesca di corte. Partendo infatti dal modello della comédie-ballets (in collaborazione con Moliére, tra il 1664 e il 1671, aveva scritto per Versailles numerose di queste composite scene pastorali danzate), lo dilatò sensibilmente calando al suo interno soggetti scelti per l'intensa valenza drammatica, che venivano svolti in una serie di intensi recitativi accompagnati nei quali – richiamandosi sia alla grande tradizione teatrale di Racine e Corneille, sia all'antico “recitar cantando” fiorentino – attribuiva la massima importanza alla comprensione dei versi, elemento primario nell'attenzione del pubblico d'allora. Nel contempo, in netta contrapposizione congli impernti modelli del melodramma, in lavori come Alceste, Athys, Persée, Phaëton, Roland – per citare i titoli più noti - poco o nulla veniva concesso da Lully al fiorire del belcanto, scansando tutti gli eccessi del virtuosismo canoro grati ai fans del teatro italiano; ed anzi nel suo processo di scrittura le arie inserite nella partitura non segnano uno stacco netto dalla recitazione come nel consueto schema recitativo/aria con 'da capo', ma si librano da essa in un improvviso, ma atteso e gradito slancio lirico. Ecco raggiunto così l'obbiettivo di quel raffinato e mirabile equilibrio tra declamazione intonata e canto vero e proprio, che gli è proprio.
Va da sé che, nella forma codificata da Lully, questo genere spettacolo richiedeva senza dubbio all'epoca un notevole dispendio di energie: per prima cosa, interpreti che potessero cantare con ricercata eleganza, e rendere con chiarezza e veridicità il declamato in francese; e poi un corpo di ballo che sostenesse le molte sezioni coreografiche, ed un coro adeguato. Per di più - last but no least - un apparato scenografico di altissimo livello, con una quantità di effetti tale da destare lo stupore e quindi il gradimento di una corte raffinata ed esigente. Tutti elementi che si ritrovano ovviamente anche in Armide, tragédie en musique del 1686 su libretto del fedele collaboratore Philippe Quinault che, nei suoi cinque canonici atti preceduti da un prologo, ripesca la celebre vicenda tassesca del crociato Rinaldo e della maga Armida. Siamo di fronte qui all'apice della produzione di Lully, e all'epitome della tragédie-lyrique in assoluto; ma pure al canto del cigno per entrambi, dato che il compositore spirò l'anno seguente, mentre Quinault non scrisse più per il teatro.
Per la sua originalità, per la mirabile perfezione, e per l'enorme successo che incontrò per molti decenni sino a Settecento inoltrato, Armide si può reputare il vero punto di partenza della tradizione operistica francese: curioso quindi che solo quest'anno essa sia approdata nel ricchissimo cartellone del Festival di Musica Antica di Innsbruck, che pure della divulgazione della musica barocca ha fatto il suo vessillo ammanendo di anno in anno un cartellone sempre più ricco di eventi.
Presentato nel cortile del palazzo della Theologischen Fakultät di Innsbruck, questo ammirevole capolavoro ha trovato interpreti tutti all'altezza del loro non facile compito, coordinati dalla direzione musicale di Patrick Cohën-Akenine, vigile concertatore e primo violino dei brillanti solisti de Les Folies Françoises: raccolta formazione strumentale cui però nuoceva non poco l'esibirsi en plein air, fattore che ne sminuiva la sonorità complessiva. Interpreti in maggioranza giovani, accompagnati sulla scena dalla fantasiosa e sensibile regia di Deda Cristina Colonna, che si è presa carico anche delle eleganti coreografie affidate ai sei componenti del Nordic Baroque Dancers, ensamble specializzato in danze antiche guidato da Karin Modigh. Quanto a Francesco Vitali, ha tentato di trasformare il cortile settecentesco nel regno fatato della maga, riuscendovi solo in parte: lo spettatore si trovava davanti un palcoscenico affollato di manichini in costume – tutti gli interpreti peraltro vestivano immaginifici e variegati abiti seicenteschi – e arredato man mano con pochi elementi scenici appropriati, e intravedeva altre sagome addobbate – e nel Prologo, pure le figure retoriche di Gloria e Saggezza - affacciarsi sulle grandi finestre variamente illuminate che stavano di fronte; ma le alte e grigie muraglie del severo convento gesuitico restavano comunque alquanto opprimenti.
La figura di Armide, sviluppata da Quinault con sottile penetrazione psicologica, era affidata alla brava Elodie Hache, abilissima nell'articolazione nella parola, e la cui voce duttile e luminosa ha conferito bei colori, grande varietà d'accenti e buon spessore drammaturgico al suo complesso personaggio: squisita in «Un songe affreux», commovente nel tumulto intimo di «Ah, si la liberté», travolgente nella celebre air «Enfin, il est en ma puissance». Renaud era impersonato dal giovane tenore portoghese João Pedro Cabral, messaggero di una luminosa vocalità e molto versato nel chiaroscuro di toni, e ben degno di lode nella tenera aria del sonno «Plus j'observe ces lieux»; il bravo basso-baritono Pietro di Bianco conferiva cupa grandezza al suo Hidraot; il tenore Jeffrey Francis era Artémidor e la Haine (l'Odio, estraendo con abilità ogni effetto possibile dalla veemente invettiva «Sors, sors du sein d'Armide»). Le altre parti di fianco erano anch'esse tutte commendevoli: i soprani Daniela Skorka e Miriam Albano (la Gloire/Phénice e la Sagesse/Sidonie), il basso Tomislav Lavoie (Aronte/Hubalde), il tenore Enquerrand de Hys (le chevalier danois). Buona parte di loro era stata selezionata l'anno scorso nell'ambito del Cesti-Wettbewerb, il concorso di vocalità barocca intitolato al grande compositore toscano che soggiornò a lungo nella capitale del Tirolo.
Esecuzione tenutasi il 22 agosto 2015 nell'ambito dell'Innsbrucker Festwochen der Alten Musik; allestimento in collaborazione con il Festival di Potsdam/Sanssouci e il Centre Musique Baroque di Versailles.