L'India è l'unico paese che vanta millenni di storia che non sono mai stati cancellati, un passato mai ritenuto superato ma vissuto come parte fondante del presente e della contemporaneità. Una ricchezza culturale e monumentale dovuta alla particolare storia politica e religiosa. Infatti l'India è stata per secoli divisa in moltissimi piccoli regni indipendenti, governati da sovrani chiamati rajput: i più noti, per antonomasia, sono quelli rajasthani, ma in tutto il subcontinente ce ne sono esempi, come a Mysore e Madurai nel profondo sud (Karnataka e Tamil Nadu): una storia estremamente complessa e affascinante.
Questa esposizione è importante per molti motivi, il primo su tutti: è la prima mostra temporanea al MAO dalla sua apertura nel dicembre 2008. Oltre centocinquanta opere presentano una panoramica degli stili e dei temi iconografici della produzione pittorica su carta che si è sviluppata in India tra il XVII e il XIX secolo, periodo in cui alla grande potenza dell'impero musulmano mogul si contrappose la fiera resistenza dei principi indiani rajput. Questi ultimi erano clan invasori di origine unnica, migrati in India dall'Asia centrale nel V secolo e riconosciuti in seguito come casta guerriera dall'induismo. A partire dal XII secolo, con le ripetute invasioni di eserciti musulmani, i sovrani rajput si ritirarono nel Rajasthan, sulle colline prehimalayane e nelle giungle dell'India centrale e del Deccan, fondando diversi principati di tipo feudale che non riuscirono mai a creare un fronte comune nei confronti dell'invasore islamico. I rajput seguivano un rigido codice cavalleresco basato sulla fierezza, sull'audacia in battaglia e sull'onore; oltre alla guerra e alla caccia, la cultura rajput presenta un carattere romantico e passionale che si manifesta nell'attenzione per la musica, le arti, l'amore idealizzato e la devozione religiosa. Fieri oppositori dell'impero Mogul, i rajput, nel corso dei secoli, furono conquistati militarmente dalla potenza musulmana, perdendo la loro indipendenza ma mantenendo posizioni di rilievo nell'esercito, nell'amministrazione e nella vita di corte imperiale. Anche nel secondo Novecento, dopo l'indipendenza dell'India dall'Inghilterra e la partizione di Pakistan e Bangladesh, i rajput hanno mantenuto molti privilegi, per lo più cancellati durante il governo di Indira Gandhi.
La pittura rajput, erede della tradizione religiosa dei manoscritti miniati, mantiene un carattere profondamente indiano nella concezione e nella scelta dei temi iconografici all'interno di una ricerca che vede nella dialettica con l'estetica mogul, già debitrice nei confronti della pittura persiana, uno dei punti di maggiore rilievo. L'incontro tra i due ambiti culturali si esplicita in un proficuo scambio tra il carattere raffinato della pittura islamica e la vivacità del tratto e dei colori delle raffigurazioni rajput. Le miniature, caratterizzate da un tratto netto che delinea le figure, da una campitura piena nella stesura del colore e da una prospettiva che non si cura della coerenza nella resa spaziale, presentano diverse interpretazioni stilistiche frutto della sensibilità delle scuole locali, tutte ben documentate in questa Collezione e, conseguentemente, nella mostra.
Fra i temi iconografici più antichi rappresentati nella produzione pittorica delle corti dei rajput si trovano scene figurate che descrivono i modi musicali indiani, le miniature che si ispirano alla tradizione religiosa hindu, la raffigurazione di testi letterari e poetici, come le gesta eroiche narrate nel Mahabharata e nel Ramayana o in racconti mitici, in particolare gli amori di Krishna. Parte importante della produzione pittorica rajput riguarda anche aspetti della vita di corte, con ritratti (anche di cavalli ed elefanti), scene di caccia, processioni, cerimonie religiose e scene erotiche.
Ma non tragga in inganno il termine “miniature”: in realtà sono dipinti a tempera su carta di varie dimensioni. La mostra è suddivisa in nove sezioni, a seconda della provenienza geografica delle opere e quindi della scuola pittorica locale: Mevar – Udaipur (meno permeata dall'influenza di Delhi), Marvar – Jodhpur (dal tratto possente e vivace), Kishangarh (caratterizzata da figure longilinee con grandi occhi arcuati e i tratti aguzzi dei visi), Bikaner (dipinti eleganti e raffinati), Jaipur (risente della scuola mogul ma con influenze del Deccan), Bundi e Kota (colori vividi e brillanti e copiosità della vegetazione con toni quasi naturalistici), India centrale (tono diretto ed elementare), territori sub-himalayani (miniature dette “pahari”, con uno stile sensuale dal tono quasi lirico), miniature mogul e deccani (tipiche del sud, come è evidente dalla raffigurazione delle donne e dei loro costumi).
Il catalogo Skira presenta una selezione della Collezione di Vicky Ducrot che, nella introduzione, descrive il suo amore per l'India ed i successivi viaggi compiuti in quella terra meravigliosa. Claudia Ramasso, curatrice della mostra, presenta i rajput e la pittura di corte indiana, Stefano Piano descrive il panorama storico-culturale, Isabella Nardi analizza alcuni capolavori esposti e Roberto Perinu approfondisce le raccolte di illustrazioni di Ragamala. Le opere in mostra sono raffigurate con ottime fotografie e appropriate didascalie, che consentono di cogliere agevolmente le notevoli differenze tra gli stili delle varie scuole locali.
Torino, Museo d'Arte Orientale, fino al 06 giugno 2010, aperta da martedì a domenica dalle 10 alle 18 (lunedì chiuso), ingresso euro 7,50, catalogo Skira, infoline 011.4436927, sito internet www.maotorino.it
FRANCESCO RAPACCIONI
Teatro