Nonostante la pioggia pomeridiana abbia causato disguidi e ritardi prima dell'inizio e durante l'unico intervallo, nonostante l’iter travagliato abbia contrassegnato i giorni antecedenti il debutto, nonostante i toni polemici si siano sprecati, nonostante l’accavallarsi di previsioni più cupe di quelle meteorologiche, l’andata in scena di Nabucco allo Stadio Olimpico di Torino, a quanti avessero un minimo di dimestichezza con il settore operistico, è parso un piccolo miracolo attribuibile, in buona parte, al salvataggio in extremis compiuto dal regista Massimo Pezzutti: grazie a lui ed al cast di tutto rispetto, il flop annunciato si è tramutato in un esito positivo.
E’ notizia risaputa la serie di defezioni susseguitesi a poche ore dall’accendersi delle luci sul mega palcoscenico di 1250 mq. Mentre coloro che avevano prenotato i biglietti focalizzavano l’attenzione sulle sostituzioni canore, tra gli addetti ai lavori la preoccupazione maggiore riguardava la regia: l’improvviso forfait di colui che avrebbe dovuto reggere le redini dell’intero spettacolo. Il caso ha voluto che fosse appena rientrato in Italia dopo una lunga e fortunata tournée nei Paesi del Centro America, Massimo Pezzutti, noto per la grande competenza artistica e tecnica, il quale ha generosamente accettato la responsabilità di un incarico che pareva insolubile. Pezzutti, pur nell’oggettiva impossibilità di attuare un vero e proprio disegno registico, con determinazione degna del Commissario Tecnico della Nazionale di calcio (ci sia consentito il paragone dettato dall’insolito anfiteatro), è riuscito nell’intento di donare organicità ad un insieme altrimenti allo sbando. Nulla infatti, sia sotto il profilo strutturale che interpretativo, pareva fino a quel momento nemmeno abbozzato. In una sessione di prove che sarebbe eufemismo definire insussistente, l’estemporaneo “allenatore” ha saputo sfruttare al meglio gli elementi a disposizione scelti dal rinunciatario predecessore anche se lontani dall’eleganza, dal gusto estetico e dal rigore stilistico che solitamente contraddistinguono i suoi allestimenti. I costumi erano privi di ricercatezze degne di nota se non al negativo, al pari delle scenografie disegnate e realizzate nei laboratori di Cinecittà a Roma, il cui unico pregio, se così vogliamo definirlo, era la rispondenza a quella spettacolarità puramente esteriore necessaria in un ambito di tale peculiarità, che in ogni caso non avrebbe dovuto prescindere dalla pura e semplice coerenza storica, architettonica, formale e filologica; mentre viceversa presentava macroscopiche incongruenze impossibili da correggere nel lasso di tempo di un’unica giornata. Muovendosi giocoforza in codesto poco lusinghiero ambito preconfezionato, dal quale ha con signorilità preso le distanze rifuggendo la conclusiva comparsa alla ribalta, “Mister” Pezzutti è riuscito a conferire una certa armonia all’insieme, traghettando una nave (trattandosi di una produzione "colossal", un transatlantico) che sembrava destinata ad affondare contro gli scogli dell’anarchia organizzativa, verso un approdo sicuro e più che decoroso.
Il merito è stato condiviso in egual misura con voci di innegabile valore; in special modo quella del soprano Dimitra Theodossiou, Abigaille, abilissima nelle agilità di forza come nello smorzare, fino al limite dell’udibile, la preziosa vocalità nei passaggi più lirici e intimi. Sergio Bologna impegnato nel title role ha dispiegato un canto nobile sopratutto nelle frasi legate, mentre mancava di un certo accento nella scansione semantica e di quell’ampiezza vocale che si desidererebbe ascoltare in un baritono che interpreta il Re di Babilonia. Da segnalare le prestazioni di Enrico Giuseppe Iori, Zaccaria con il suo solidissimo settore acuto ed il pregevole timbro; la Fenena di Tiziana Carraro scenicamente disinvolta e di brunito colore tuttavia in alcuni passaggi leggermente gutturale; Fernanda Costa, una Anna di lusso. Ha purtroppo deluso Alberto Veronesi (figlio del famoso oncologo Umberto) la cui direzione e concertazione non è parsa sufficientemente approfondita nella ricerca espressiva, avendo per altro denotato sgradevoli "scolli" con il palcoscenico nonché la discutibile agogica dei tempi impressi all'orchestra costituita da elementi del Festival Pucciniano di Torre del Lago. Calorosa e sentita la condivisione emotiva tra pubblico e coro sul Va pensiero, considerato l’alter ego dell’Inno di Mameli che - pur a nostro giudizio un poco privo di pathos - ha comunque rivestito importante valenza simbolica per i 13 mila accorsi a festeggiare musicalmente il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. Spettatori plaudenti (in alcuni momenti a scena aperta) e...ritorno a casa senza ombrelli. Risultato: Nabucco ha fatto goal.
Teatro