7 luglio 1976, XIX edizione del Festival dei due Mondi, al Teatro Nuovo di Spoleto va in scena la prima mondiale dello spettacolo “La Gatta Cenerentola”, favola in musica in tre atti del maestro Roberto De Simone. Pubblico e stampa internazionale, teatro pieno in ogni ordine di poltrone, palchi e loggione, attenzione tesa, silenziosa, quasi con il fiato sospeso. Infine una esplosione di applausi e lanci di rose bianche - che coprirono il palcoscenico come un tappeto - verso gli attori.
Sono trascorsi 35 anni da quella sera che vide la nascita di un vero e proprio mito teatrale rappresentato ovunque: in Italia, in Europa fino ai palcoscenici di Broadway. Uno spettacolo dal linguaggio antico ma anche moderno e corrosivo – che fa corpo con la musica come un'unica partitura - dove la forte carica emozionale è solo la punta di un iceberg che sottende una ricerca profonda e pregna di significati colti e mitici. Uno spettacolo importante e da tenere a mente, per i coevi e per le generazioni future.
“Quando cominciai a pensare alla Gatta Cenerentola – disse il maestro De Simone sulla sua Opera - pensai spontaneamente ad un melodramma: un melodramma nuovo e antico nello stesso tempo come nuove e antiche sono le favole nel momento in cui si raccontano. Un melodramma come favola dove si canta per parlare e si parla per cantare o come favola di un melodramma dove tutti capiscono anche ciò che non si capisce solo a parole. E allora quali parole da rivestire di suoni o suoni da rivestire di parole magari senza parole? Quelle di un modo di parlare diverso da quello usato per vendere carne in scatola e perciò quelle di un mondo diverso dove tutte le lingue sono una e le parole e le frasi sono le esperienze di una storia di paure, di amore e di odio, di violenze fatte e subite allo stesso modo da tutti. Quelle di un altro modo di parlare, non con la grammatica e il vocabolario, ma con gli oggetti del lavoro di tutti i giorni, con i gesti ripetuti dalle stesse persone per mille anni così come nascere, fare l'amore, morire, nel senso di una gioia, di una paura, di una maledizione, di una fatica o di un gioco come il sole e la luna fanno, hanno fatto e faranno".
“La Gatta Cenerentola” si ispira all'omonima fiaba contenuta nel seicentesco “Lo Cunto de Li Cunti” di Giambattista Basile, alle sue varianti tramandate oralmente nell'area Campana e non solo. Fondamentale è stato il profondo lavoro di ricerca musicale e antropologica che il maestro De Simone aveva operato nel corso degli anni '60 e '70, inerente tradizioni non scritte, ritualità e miti di un sud legato al culto della terra, del sole e della luna. Tale indagine si era concretata anche esplorando le campagne dell'entroterra campano raccogliendo testimonianze orali e musicali dalla diretta esperienza dei contadini che le popolavano. Tale esperienza, che fondeva espressioni culturali “alte” e “basse”, era confluita in studi su forme musicali fino ad allora sconosciute ai più, come le villanelle, le moresche, le tammurriate diffuse, dapprima, attraverso la coinvolgente espressività musicale della Nuova Compagnia di Canto Popolare di cui il maestro è stato ispiratore, ideatore e collaboratore. Così De Simone reinventò un nuovo genere che avrebbe avuto discendenze in tutta Italia.
Una rivoluzione musicale, che andava al di là dei classici stilemi della canzone napoletana romantica – peraltro importantissima e diffusa nel mondo - a cui tutti erano abituati, per ritrovare attraverso questi suoni arcaici la storia più lontana e sommersa del popolo napoletano. Ma il Maestro era ed è anche un profondo conoscitore del Melodramma, dell'Opera Buffa, di quella tradizione nata a Napoli agli albori del 1700, che aveva avuto il suo culmine con grandi autori musicali attivi a Napoli in quel periodo.
Di questo e molto altro dà conto “La Gatta Cenerentola” fiaba reinventata ed ambientata in una Napoli caratterizzata dalla magia del munaciello, dalla tragedia del femminiello, dalle lavandaie, da una matrigna sette volte vedova, da sette sorellastre, dalla soldataglia spagnola padrona del campo. Una Napoli dove la perdita della “scarpetta” durante tre notti, da parte della protagonista Gatta Cenerentola - graffiante come una gatta e per nulla sottomessa al suo destino - è forse metafora di un mondo scomparso ma ancora reale nel magma della variegata e tormentata Storia di questa città, nelle sue pietre nascoste. Un mondo dove la pratica della recita dei rosari, delle giaculatorie, si mescola con la cabala dei numeri del lotto, con la ritualità del ballo di San Giovanni o con il fenomeno del “tarantismo” che presiede a quella meravigliosa scena della Tarantata delle Lavandaie. Una Napoli dove c'è un Vesuvio sterminatore, un Santo decapitato a cui tutti si affidano e da cui aspettano con ansia il miracolo dello scioglimento del sangue; dove la sofferenza, la fatica di vivere, il dolore, non mancano mai insieme alla sorpresa, alla magia, al mistero. Tutto questo intessuto con un linguaggio e una musica di grande pregio costituita da madrigali, villanelle, moresche, canti popolari, tammurriate, appunto mescolanza di cultura alta e bassa, dove il bagaglio delle espressioni popolari studiate e verificate in anni precedenti dal maestro sono la base dell'intreccio verbale e gestuale dell'Opera, costituita da piani di lettura, registri e linguaggi diversi.
De Simone, dunque, aveva ideato un'Opera corale dove la grande protagonista è Napoli città dai mille volti: madre e matrigna, figlia e figliastra, vittima dello strapotere delle diverse dominazioni: luci ed ombre, mito e religiosità, gioco e tragedia. Ma in “La Gatta Cenerentola” esiste anche una lettura emozionale, come si diceva, che affonda nell'immaginario collettivo, nel tessuto onirico e fantastico della città. Una lettura che si allontana decisamente dal folklore abusato per riscoprire la matrice popolare, quella più vera legata, potremo dire, alle visceri della terra, al suo humus profondo. In una intervista alla studiosa Annamaria Sapienza, autrice del saggio Il segno e il suono. La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone (Napoli, Guida, 2006) afferma Roberto De Simone: “Da sempre io perseguo una linea che è quella della ricerca a monte che cagiona degli accumuli (teorici e tecnici) nella memoria assolutamente straordinari: tutto un groviglio di notizie, di esperienze fatte, lette, trascorse, si ripresenta alla mente in un crogiuolo totalmente diverso e ci si sente portati ad annodare tutte queste cose come il filo di un tappeto del quale di costruisce il disegno. E’ una tecnica del comporre che in un certo senso io attivo anche come musicista, è un po’ la mia natura artistico-musicale: non pensare al teatro come il racconto di qualcosa che avviene mediante una sequenza di scene una dietro l’altra”.
Il cast stellare della prima edizione (altre ve ne sono state nel corso degli anni e con altri interpreti, citiamo per tutti Rino Marcelli che sostituì Peppe Barra nel ruolo della Matrigna) era costituito da: Isa Danieli, Peppe Barra, Concetta Barra, Fausta Vetere, Giovanni Mauriello, Patrizio Trampetti, Virgilio Villani, Franco Iavarone, Antonella Morea, Antonella D'Agostino, Bianca Maria Vaglio, Jose Cacace, l'Orchestra diretta dal maestro Antonio Sinagra, le scene di Mauro Carosi che riproducevano il bellissimo Palazzo dello Spagnuolo sito ai Vergini, zona emblematica della città del sogno, del mito, dell'ancestrale, e i sontuosi e fantasiosi costumi – pur in una precisa ricostruzione d'epoca - di Odette Nicoletti. Una scelta di attori/cantanti valenti riuniti insieme in magica simbiosi a creare un'unica e stupefacente coralità.
Anche a Napoli, come ovunque, lo spettacolo che venne rappresentato dapprima al Teatro San Ferdinando – il teatro di Eduardo – in seguito al Teatro Mercadante, fu un trionfo facendo gridare al miracolo.
Roberto De Simone, genio musicale e teatrale, aveva instaurato un nuovo modo di fare teatro: un teatro totale che coinvolgeva musica, gestualità, linguaggio, dando lustro alla città e restituendogli un posto d'onore nella creatività internazionale.
Napoli, tra l'altro, da un po' di anni viveva fervori e tensioni alternative sulla scorta di quando era accaduto sin dalla metà degli anni '60 in America e in Europa. In Italia le nuove tendenze spettacolari si erano concretate attraverso la sperimentazione teatrale per opera di personaggi come Leo De Berardinis, Carmelo Bene, i fratelli Vasilicò, Mario Ricci, Memè Perlini, il Gruppo della Rocca ed altri. A Napoli agivano Gennaro Vitiello e il gruppo storico di attori da lui diretti al Teatro Esse, piccolo teatrino posto nel cuore della città, Mario e Maria Luisa Santella, successivamente Ettore Massarese, Lucio Beffi, Tony Neiwiller ed altri. Armando Pugliese aveva portato il teatro fuori dalle strutture ufficiali, mettendo in scena nella storica Piazza Mercato lo spettacolo “Masaniello” scritto insieme ad Elvio Porta con Mariano Rigillo, Angela Pagano e Lina Sastri e con il fondamentale apporto delle musiche dello stesso maestro De Simone, ricodiamo su tutte la straordinaria “Madonna de lu Carmene” che consacrò la voce rituale di Lina Sastri.
Insomma un territorio in divenire che trovò nella completa e complessa figura artistica di Roberto De Simone il suo maggiore esponente, il suo figlio migliore. Ed oggi, trascorsi 35 anni, il discorso intorno a “La Gatta Cenerentola”, non finisce di entusiasmarci: uno spettacolo che dimostra ancora tanta modernità e fertile creatività.