Teatro

ORFEO A MARTINA FRANCA

ORFEO A MARTINA FRANCA

"Orfeo", tragicommedia per musica in un prologo e tre atti su libretto dell'umbro Francesco Buti (1604-1682) e musica del pugliese Luigi Rossi (1598-1653), venne rappresentata per la prima volta al Palais Royal di Parigi il 3 marzo 1647. Assisteva alla fastosa messinscena l'intera corte reale e naturalmente Anna d'Asburgo, vedova di Luigi XIII e madre del futuro Luigi XIV, che salirà al trono di Francia dopo la reggenza materna quattro anni dopo. Dietro l'intera operazione, si intravedeva l'ombra del cardinale Mazarino: era stato proprio il potente porporato italiano a chiamare a Parigi il Rossi, avuta notizia del clamoroso successo da lui ottenuto a Roma nel 1642 con l'opera "Il palazzo incantato d'Atlante", commissionatagli dalla famiglia Barberini ed eseguita nel loro grande palazzo romano. Anche l'esecuzione parigina di "Orfeo" fu un avvenimento sensazionale, pianificato con cura meticolosa: vi concorsero infatti artisti di fama quali il coreografo Giambattista Balbi e lo scenografo Giacomo Torelli, che preparò alcuni di quegli apparati stupefacenti per i quali godeva di grandissima fama; nonché molti celebrati virtuosi di canto - ben una trentina sono i personaggi chiamati in scena - reclutati appositamente sulla piazze romane e fiorentine. Il risultato di tanti sforzi fu uno spettacolo immaginifico, infarcito di continui richiami encomiastici nei confronti della famiglia regnante, e composto di circa sei ore di recitazione, musica e balletti che risuonarono negli spazi del Palais Royal per alcune sere di seguito, alleviando la noiosa routine della corte parigina. Sarebbe cosa improponibile oggi una ripresa integrale di questa colossale 'tragicommedia': ed infatti il suo primo recupero moderno, offerto alla Scala a metà degli Anni Ottanta con la regia di Luca Ronconi e sotto la direzione di Bruno Rigacci, venne rapportato a dimensioni accettabili al pubblico d'oggi.
La ripresa milanese palesò i limiti e i difetti - tali ovviamente per il gusto odierno - del libretto del Buti che sperde e diluisce, secondo il costume d'epoca, l'azione centrale del mito di Orfeo ed Euridice in mille rivoli, vagando attraverso situazioni secondarie e mettendo in campo una marea di personaggi. Sempre secondo il gusto seicentesco, a controbilanciare le situazioni più tragiche vengono immesse anche figure comiche come quella di Aristeo, pazzo per amore della bella ninfa, presente in fonti precedenti ma che acquista nella penna del Buti la dimensione di terzo protagonista della vicenda: non più solo un rozzo e inavvicinabile pastore di greggi, bensì un personaggio nobile e tormentato, capace di destare la pietas dello spettatore. Nella sala del Piermarini si rivelò invece appieno tutta l'intatta bellezza della musica di Luigi Rossi, musica ovunque o quasi di altissimo livello. A fronte di risorse strumentali  tutto sommato parsimoniose,  il compositore di Torremaggiore riesce ad immaginare ogni possibile sfumatura del declamato, ed impiegare le più varie tipologie di canto, dall'arioso all'aria vera e propria; e mette in campo una notevole varietà di accenti e una grande fantasia melodica. Strutturalmente, il lavoro riesce assai vario, ricreando momenti musicali ora di poche battute, ora più complessi ed articolati, con potenti momenti d'insieme - degni di apprezzamento sono in particolare i terzetti - che rivelano appieno una raffinata abilità armonica.
In vista del XXXVIII° Festival della Valle d'Itria, la Fondazione Paolo Grassi - con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia - ha voluto proporre alla giovane compositrice Daniela Terranova di elaborarne una versione moderna, operando con l'appoggio letterario di Fabio Ceresa. Ne è sortita una riduzione drammaturgico-musicale di poco più di un'ora: operazione impossibile, a prima vista; operazione riuscita benissimo come si è potuto giudicare una volta vista in scena al Teatro Verdi di Martina Franca. Perché Ceresa - che poi ne ha curato anche la regia - ha operato con molta intelligenza, riducendo i fatti all'essenziale senza sacrificare troppo  lo spirito del libretto originale; e perché la Terranova, impiegando un organico strumentale 'leggero' d'una ventina di elementi, di taglio moderno fatto salva la presenza di un cembalo, ha utilizzato il materiale originale con grande amore ma senza inibizioni, alternando le melodie del Rossi rilette e riproposte con spirito moderno alle proprie invenzioni musicali, che si sono rivelate non semplici 'trait d'union' tra un numero e l'altro, bensì delle elaborazioni complesse ed autonome, musicalmente e drammaturgicamente assai vive. Questo nuovo "Orfeo" a quattro mani, al quale è stato aggiunto per distinguerlo il sottotitolo "Immagini di una lontananza", pare in definitiva una nuova opera da camera più che meritevole di intraprendere in futuro una vita autonoma.
Lo snello ensamble dell'Orchestra Internazionale d'Italia era retto con sicurezza ed abilità dal giovane Carlo Goldstein: personalità musicale da tenere d'occhio. I solisti erano altrettanti giovani, tutti preparati dall'Accademia di canto intitolata a Rodolfo Celletti: encomiabili il controtenore Ilham Nazarov (Orfeo), la soprano Kristel Pärtna (Euridice), il contralto Candida Guida (Aristeo); bravi pure il tenore Giampiero Cicino (una strepitosa Venere 'en travesti'), il baritono Emanuele Cordaro (il Satiro). E poi Graziana Palazzo, Pia Raffaele, Michela Antenucci e Laura Maddaluno, a dare voce alla folla di Ninfe, Grazie e Parche.
L'impianto registico di Fabio Ceresa ha fatto dimenticare l'esiguità del ristretto palcoscenico del Verdi ispirando un'intensa recitazione a tutti, ed imponendo pochi ma eloquenti gesti: risultato, uno spettacolo intenso e coinvolgente al massimo grado, che ha il suo apice nella commovente calata di Euridice nella tomba avvolta in un latteo sudario. Di fronte allo spettatore Benito Lenori ha posto un minimo dì cose: bianche pareti, sedie e tavoli bianchi coperti da candide tovaglie, oggetti utilizzati con scaltra destrezza per divenire in un attimo da festosa sala di nozze a gelido sepolcro, da alto trono a impenetrabile ingresso dell'Ade infernale. Massimo Carlotto ha voluto candidi e severi abiti per tutti, ma non per la capricciosa Venere, dea tutta fasciata di un rosso glamour. Ceresa, Lenori, Carlotto: un team di talenti già bravissimi, da tenere da conto per future produzioni.
Il pubblico presente alla prima si è accorto della grande qualità della proposta, e si è mostrato decisamente entusiasta dello spettacolo offerto malgrado l'afa che opprimeva il claustrofobico teatro martinese; e così ha dispensato a tutti - ma specialmente agli autori - generosissimi e meritati applausi.