Teatro

Parigi, Pelléas et Mélisande

Parigi, Pelléas et Mélisande

Parigi, Opéra Comique, “Pelléas et Mélisande” di Claude Debussy


Pelléas realista fra le persiane

L’Opéra Comique vanta un rapporto privilegiato con “Pelléas et Mélisande”, opera che fu creata nel 1902 da Debussy proprio per la Salle Favart, dove è regolarmente ritornata nel corso degli anni in produzioni eccellenti; ricordiamo ancora con emozione l’edizione rarefatta e malinconica a cui assistemmo nel 1998 diretta da Georges Prêtre in una delle sue ultime direzioni per il teatro musicale.

L’attuale produzione, affidata alla bacchetta di Louis Langrée, alla regia di Stéphane Braunschweig (che ha concepito anche l’impianto scenico) e a un cast di eccellenti cantanti-attori, si conferma come uno dei migliori Pelléas possibili per la straordinaria “idiomaticità” vocale e orchestrale. Alle prese con il dramma-manifesto del simbolismo, Stéphane Braunschweig gioca la carta di un realismo asciutto, quasi strindberghiano, e immerge la vicenda in un cupo huis-clos facendo emergere dai personaggi, per natura evanescenti, una caratterizzazione psicologica forte e pertinente che inchioda lo spettatore.

L’impianto scenico è claustrofobico: una scena minimale dove grigie persiane chiuse rivestono a tutta altezza le pareti del palcoscenico immergendo nella penombra il regno di Allemonde dominato dalla tristezza e dalla malattia. I protagonisti sono spesso in pigiama, vestaglia o sottoveste, in una notte metaforica che evoca un’atmosfera di ospedalizzazione segnalata da alcuni elementi iperrealisti: il letto di ferro da ospedale con tanto di flebo dove giace Golaud ferito, Mélisande morente, la sedia a rotelle di Arkel, l’incubatrice che tiene in vita la figlia di Mélisande. Una piattaforma inclinata e rotonda, dalla superficie rugosa e concentrica come una crosta lunare o il greto di un fiume, fornisce l’ambientazione per gli esterni. Una cavità al centro della pedana abbozza un pozzo senza fondo intorno al quale i due protagonisti sembrano interrogarsi e cercarsi  camminando a piedi nudi in circolo sfiorando l’abisso. Un faro a grandezza naturale sorge poi dalla cavità a suggerire il mare che c’è ma non si vede, inghiottito dal nero dello sfondo, e diventa la torre dalla cui finestra  Golaud spia i segreti di Pelléas e Mélisande  tramite il fanciullo Yniold aggrappato sulle sue spalle. Una pedana con il faro è rappresentata in scala ridotta, quasi una  miniatura, per creare il quadro della torre e degli amori “infantili” di Pelléas et Mélisande accoccolati ai piedi di un faro giocattolo.
Le proporzioni alterate rendono la scena fortemente onirica e i lunghissimi capelli ramati di Mélisande che si avvolgono intorno al collo di Pélleas come un serpente liberty danno un tocco simbolista, ma si avverte una tensione crescente, tradotta nell’immagine di Pelleas con le mani che affondano nei capelli di Mélisande come pesci intrappolati in una rete, che esplode quando Golaud, apparso dall’oscurità, spinge con le sue mani le teste dei due amanti a cozzare in un bacio rovinoso prima di uccidere il rivale.
Estremamente appropriate e simboliche  le luci di Marion Hewlett  che tingono di grigio le pareti del palazzo e rendono inquietante la discesa nei sotterranei di Pelléas, che scompare alla vista inghiottito da una  botola che si apre nel pavimento. Le luci tingono lo sfondo di un nero totale da cui affiorano i protagonisti vestiti di bianco venuti dal nulla e condannati alla morte o alla malattia stagnante (del corpo e dell’anima) espressa dalle luci verdognole del quadro finale.

Eccellente il cast vocale di cui si apprezzano soprattutto doti di dizione e recitazione.
Karen Vourc’h è una Mélisande dal timbro un po’ asprigno ma capace di piegare la voce al continuo variare di dinamica ai fini espressivi e la sua Mèlisande è estremamente naturale e fisica, mai melensa, dotata fin dall’inizio di una lucida consapevolezza: nei suoi gesti, il posare con tristezza la mano sul grembo che la renderà madre, il gettare con un guizzo di gioia e scherno l’anello di Golaud al cielo e nello sguardo enigmatico e deciso in cui traspare il dolore passato, viene fuori un personaggio affascinante di segno forte.
Phillip Addis può essere considerato un Pelléas ideale per l’aspetto adolescenziale acerbo e pieno di grazia, ma anche per la voce  baritonale leggera capace di un canto spontaneo e sfumato, ma sempre incisivo. Straordinario il Golaud di Laurent Alvaro per la recitazione intensa e la voce brunita capace di effusione che data l’acustica della raccolta Salle Favart suona ancora più possente: seguiamo con partecipazione il suo inevitabile scivolare nel baratro, questo Golaud ci piace perché non è “cattivo” a priori e lascia emergere come la punta di un iceberg  una violenza di fondo, evidente e soffocata, che si traduce progressivamente nei gesti e nella parola perfettamente scolpita a fini espressivi. Geneviève ha solo una scena, quella della lettera nel secondo atto, ma nell’interpretazione di Sylvie Brunet–Grupposo è così intensa da diventare una scena nodale nell’opera e ci dispiace che Debussy non abbia per lei previsto altro. Tenero e dolente il vecchio Arkel di Jérome Varnier, un morto-vivente in carrozzella condannato a tenere in braccio la neonata affinché il  castello di Allemonde continui a vivere la sua tristezza. Dima Bawab offre voce argentina e intonata al fanciullo Yniold, l’unico ad avere sprazzi di gioiosa incoscienza.
Conclude il cast Luc Bertin-Hugualt che si distingue per mezzi vocali nel duplice ruolo del  medico e del pastore.

Louis Langrée intrattiene con quest’opera un rapporto d’elezione e fin dalle prime battute dimostra di avere interiorizzato una partitura di cui traduce con una direzione fluida e ben calibrata la giusta atmosfera drammatica. La sua direzione risulta cartesiana per chiarezza espositiva e cura dei singoli gruppi strumentali e più che languore decadente ne scaturisce, in sintonia con la regia, una tesa inquietudine. Superba la prova dell’orchestra degli Champs Elysées  per la bellezza di un suono ricco di colore e materia particolarmente adatto a dipingere l’universo sonoro di Debussy.

Pieno successo da parte del pubblico per una serata coinvolgente e ricca di emozione.

Visto a Parigi, Opéra Comique, il 21 febbraio 2014

Ilaria Bellini