Teatro

Presentata a Catania la nuova stagione teatrale 'Turi Ferro' 2016/17

Presentata a Catania la nuova stagione teatrale 'Turi Ferro' 2016/17

Un repertorio di spessore nella programmazione del Teatro ABC .

Nonostante la gravissima crisi tuttora attraversata dal suo maggiore ente teatrale, il Teatro Stabile, Catania non si arrende al degrado, e, per tramite delle numerose fondazioni protagoniste della vita culturale cittadina, con oltre venti teatri, inizia a proporre una variegata offerta di spettacoli per la prossima stagione, mentre i luoghi più caratteristici del centro storico si animano con piccoli quanto estemporanei allestimenti estivi.

Tra i primi a proporsi, il Teatro ABC, il cui cartellone si distingue per l’ottimo livello complessivo dell’offerta, con Enrico Guarneri nell’ormai consueto ruolo di mattatore, in qualità di garante ed elemento unificatore di una notevole selezione di lavori, molti dei quali diretti da quel Guglielmo Ferro, figlio del compianto Turi, cui è intitolata la rassegna. Ed è proprio la ‘sicilitudine’, quel particolare sentire a metà tra il disincanto e l’ironia nostalgica, il tratto dominante cui Guarneri, avvezzo a virare dai toni lievi del cabaret alla più cupa tragedia, riesce a riportare vicende anche lontane nel tempo e nello spazio, rinnovando in profondità pure lavori dal successo già consolidato: una singolare attitudine che consentirà all’attore adranita di vestire ancora i fortunati panni de "LAvaro" di Molière, insieme a Patrizia Pellegrino, per poi passare alla commedia di genere con "L’Altalena" di Martoglio, un sapido affresco della Catania ‘ruspante’, immutata nel tempo, nel giorno delle celebrazioni per la santa patrona Agata.

Fiore all’occhiello di questo programma, la riduzione scenica de “I Malavoglia”, dove Guarneri interpreterà Padron ‘Ntoni, per la regia di G. Ferro; un allestimento da tournée (con impegnative soste al Teatro Quirino di Roma e all’Elfo Puccini di Milano) che sa di sfida alla mole del capolavoro verghiano, di cui verranno evidenziati alcuni temi dominanti, quali l’ideale “dell’ostrica” da sempre imperante in Sicilia, ovvero l’idea che il cambiamento storico e il progresso risultino, alla lunga, soltanto deleteri per l’isola e i suoi abitanti, il fatalismo e il senso di sudditanza nei confronti di una natura matrigna, capace di togliere tutto e abbattere d’un sol tratto.
In effetti, proprio il riadattamento in chiave teatrale di grandi classici della letteratura o del cinema sembra essere un altro filo conduttore nel cartellone dell’ABC, con Stefano Accorsi, coadiuvato dalla regia di Marco Baliani, in veste di moderno cantore del “Furioso Orlando”, un testo liberamente ispirato al poema ariostesco, nei teatri italiani da qualche anno; e Alessio Boni, insieme a Marcello Prayer, protagonisti de “I duellanti”, riscrittura drammatica dell’omonimo romanzo di Joseph Conrad con la regia di Alessio Boni e Roberto Aldorasi, prodotta a conclusione di un’esperienza laboratoriale al Teatro della Pergola di Firenze e molto acclamata lo scorso anno al Festival dei 2 mondi di Spoleto.

Una fortunata performance, quella di Accorsi -con il precedente illustre della rivisitazione ariostesca di Luca Ronconi nel 1969- cui è già toccata una prosecuzione dal titolo “Giocando con Orlando”, dove lo sfondo di eroici cavalieri, epiche battaglie e gentili donzelle diventa il pretesto per riflettere sul senso dell’umano agire: a fondamento di tutto, l’amore, desiderato, inseguito, deluso, perduto o trionfante, che si incastra secondo strani incroci con gli eventi dettati dalla sorte e il comportamento imprevedibile degli uomini, determinando il destino di ciascuno.

Allo stesso modo, ne “I duellanti”, come sovente accade nei testi di Conrad, il racconto letterale dell’eterno ed inspiegabile dissidio tra i due valenti spadaccini dell’armata napoleonica, D’Hubert e Feraud, che passano la vita sfidandosi all’arma bianca, rimanda ad una seconda e più profonda chiave interpretativa: l’eterno conflitto tra istanze opposte- come i caratteri dei due protagonisti- che alberga nella personalità di ogni individuo, costringendolo, prima o poi, a dover fare i conti con il suo doppio, nella speranza di poter acquisire quella sicurezza decisiva per il passaggio alla vita adulta ed affrontare i continui duelli cui essa ci espone.

Ancora un’opposizione, stavolta tra due diversi modi d’intendere la vita, è al centro del “Il sorpasso”, rilettura teatrale dell’omonimo classico di Dino Risi del 1962, con Margareth Madè, Giuseppe Zeno e Nicolas Vaporidis, diretti da G. Ferro. La storia è nota: una torrida giornata di Ferragosto, nell’Italia del pieno boom economico anni ’60, diviene l’occasione per il fortuito incontro tra un giovane studente dai saldi principi morali, ancora inesperto del mondo, ed un guascone, dedito a piaceri ed amorazzi, emblema dell’indifferenza etica connotante un certo tipo di italiano medio. Le avventure in cui viene trascinato lo studente sfociano per lui in tragedia, lasciando presagire il rapido quanto inevitabile tramonto di quella 'meglio gioventù', seria e laboriosa, di cui egli è l’emblema.

E i piccoli grandi drammi della classe medio borghese continuano, seppure con toni molto più lievi, nel gioco di coppia di “Dobbiamo parlare”, ironica commedia brillante tratta dall’omonima pellicola con Fabrizio Bentivoglio e Sergio Rubini, quest’ultimo pure nelle vesti di regista. La vita di una famiglia tradizionale, il cui stare insieme sembra dettato dalle reciproche convenienze piuttosto che dall’amore disinteressato, entra in crisi a causa di un tradimento e cerca così rifugio presso la coppia degli amici del cuore, con cui ama trascorrere il tempo libero. Quest’ultimi sembrano in apparenza più uniti, sinceri e alieni da tornaconti economici, ma una lunga notte di reciproche confessioni condurrà ad esiti sorprendenti nell’equilibrio dei rispettivi legami affettivi: una divertente lezione sul rapporto tra sostanza ed apparenza dove nemmeno i sentimenti sembrano sottrarsi alla mutevolezza dell’attuale ‘società liquida’.