Teatro

In ricordo di Anna, e dei suoi miracoli

In ricordo di Anna, e dei suoi miracoli

Cosa si può aggiungere alle tante parole spese per ricordare quella grande attrice che è stata Anna Proclemer, che ci ha lasciati lo scorso 25 aprile, poco prima che potesse varcare la soglia dei 90 anni, con oltre settanta anni di carriera alle spalle? Sono i ricordi personali che si hanno di un personaggio che fanno, in questi casi, la differenza. Chi è della mia generazione l’ha incontrata per la prima volta grazie alla televisione, quando anziché sfornare acerbi no-talent celebrava l’arte e la cultura, seppure con linguaggi spesso semplificati ma per questo didatticamente ineccepibili. Era il 1968, infatti, quando, noi cinquantenni di oggi, allora bambini, fummo catturati dalla forza di questa donna dai neri occhi magnetici e dalla voce scura e lievemente roca, che, interpretando l’istitutrice Annie Sullivan, riusciva a far comunicare col mondo esterno la cieca sordomuta Ellen, una bambina come noi, interpretata dall’anfant prodige Cinzia De Carolis, in “Anna dei miracoli” di William Gibson. Quella che ora si chiama fiction ma che allora era uno sceneggiato televisivo, rimase indelebile nei ricordi di molti noi, e solo qualche anno più tardi avremmo conosciuto che quella donna era una delle più grandi attrici del nostro secolo, e lo avremmo saputo grazie ancora alla televisione: indimenticabile la sua interpretazione di Arkadina ne “Il Gabbiano” di Cechov, in cui il tormentato Kostantin era un giovanissimo Gabriele Lavia, Nina una splendida Ilaria Occhini e Trigorin il troppo presto dimenticato Giancarlo Sbragia, oppure in “Maria Stuarda” di Schiller, in cui duettava in uno straordinario cesello di colori interpretativi con la strepitosa Lilla Brignone. Erano gli anni della prosa del venerdì, quando la Rai era davvero un servizio pubblico, anni in cui ringrazio iddio d’aver vissuto la mia formazione. Oggi, anche ad alcuni giovani attori, questi nomi sono del tutto sconosciuti e la cosa fa davvero tanta tristezza. Qualche anno dopo, eravamo alla metà degli anni ’80, finalmente la vidi in scena. Era uno di quegli spettacoli attualmente impensabili, perché commercialmente improponibili, “Lungo viaggio del giorno verso la notte” di Eugene ‘O Neal, regia Antonio Calenda, ed al fianco della Proclemer un maturo Gabriele Ferzetti e due giovani attori, Franco Simoni e Claudio Bigagli ad interpretare rispettivamente suo marito ed i suoi figli in quella che era la rappresentazione che il grande autore americano aveva voluto dare della sua stessa famiglia. Non dimenticherò mai la scena finale di quello spettacolo, quando la morfina condanna definitivamente la mente della protagonista, quel gesto della mano con cui Anna trasmetteva la follia del personaggio, cercando di allontanare un qualcosa di invisibile ed inesistente dal suo volto, fanno parte di quei tre o quattro momenti che hanno fatto sì che io amassi inevitabilmente il teatro. Ancora oggi conservo gelosamente la sua foto autografata, che da ragazzo avevo esposto nella mia camera dopo quella sera, così come i miei coetanei esponevano, semmai, quella di Baglioni, Vasco Rossi o Madonna.
L’ho vista l’ultima volta grazie al cinema, in un film che non ho amato ma a cui sono grato per avere fatto sì che potessi ancora una volta ammirare questa regina della scena, la sua “Magnifica Presenza” nell’omonima pellicola di Ozpetk mi ha fatto provare i brividi, e di nuovo sono entrato nelle spire del suo magnetico sguardo.
Di lei, dei suoi grandi amori per Brancati e per Albertazzi, delle sue mille grandi interpretazioni hanno scritto tutti, e tutti con grande competenza, io, contravvenendo ad una regola non scritta, per una volta, ho scelto di usare la prima persona, una soggettiva che ricordasse così una grande, grandissima attrice che mi catturò il cuore da bambino e che ora, purtroppo, ritroverò solo nelle vecchie registrazioni e della quale è difficile trovare una vera erede.