Salisburgo, Haus fur Mozart, “Don Giovanni” di Wolfgang Amadeus Mozart
LEPORELLO (E DON GIOVANNI) NEL BOSCO
Dopo le Nozze di Figaro da noi recensite, torna al festival di quest'anno Don Giovanni anch'esso nell'allestimento di Claus Guth che ebbe un'accoglienza trionfale tre anni fa, un Don Giovanni di rottura che non lascia indifferenti e che continua a dividere il pubblico. A Claus Guth la componente giocosa del dramma non interessa, anzi, la trasforma in un grottesco al limite dell’assurdo con ironia e crudeltà, forse sgradevoli, ma assolutamente coerenti. Una regia che inchioda il pubblico alla sedia come durante un film thriller, dominato dal movimento, dalla frenesia, da un correre verso un nulla distruttivo con ansia.
La scena di Christian Schmidt è un bosco inquietante e cupo, squarciato da suggestivi giochi di luce che scandiscono il passare delle ore. La scena ruota mentre i protagonisti si muovono fra gli alberi, offrendo carrellate di un bosco da film tedesco d’autore. Claus Guth sfrutta con tale intelligenza la scena unica per ambientare le situazioni che la discordanza d’ ambientazione (nessuna Siviglia, nessun palazzo, nessun cimitero) in realtà è apparente poiché non viene meno la “verità “ della situazione e tutto risulta in sintonia con la musica.
Sulle note dell’ouverture assistiamo a un omicidio come se lo vedessimo da un cannocchiale: in un cerchio su sfondo nero Don Giovanni al ralenti uccide il Commendatore ma rimane ferito a morte: il tempo della rappresentazione è ciò che gli resta da vivere. Don Giovanni e Leporello, drogati e derelitti, si aggirano nel bosco uniti come non mai da un rapporto di dipendenza reciproca che trova sprazzi di inedita dolcezza in una situazione decisamente pulp. La ferita aperta di Don Giovanni è la piaga (inevitabile citazione di Amfortas) che macchia di sangue tutto ciò con cui entra in contatto: l’abito nuziale di Zerlina, i vestiti di Leporello, il parabrezza della macchina di Donna Anna su cui il seduttore disegna col sangue un cuore.
I personaggi fuggono, s’inseguono, s’incontrano sulle pendici del bosco con apparente casualità: Donna Anna e Don Ottavio con la macchina in panne chiedono aiuto all’amico libertino, Zerlina e Masetto scelgono il bosco per le foto ricordo, Donna Elvira è una signora bon ton seduta alla fermata d’autobus che ascolta con visibile disagio un Leporello poco raccomandabile che legge il catalogo dagli orari del bus, più per compiacere il padrone agonizzante sdraiato sul tetto della pensilina e ricordargli un glorioso passato che non per intrattenere un’impacciata Donna Elvira. Don Giovanni è quasi sempre in scena, con lo sguardo assente del tossicodipendente e di chi sta prendendo le distanze dalla vita. Gli eventi sembrano flash della memoria o sogni di felicità: indimenticabile quando intona la serenata raggomitolato a terra e il bosco si anima di tante Giselle che compaiono e scompaiono dietro gli alberi con grande poesia. E nel conto alla rovescia abbiamo trovato azzeccato pure lo squallore di un picnic con birra, droga e cibo in scatola e un becchino (il Commendatore) che scava la fossa in cui cadrà il libertino avvolto dalla bruma del bosco. L’opera non può che finire qui, adottando la versione di Vienna, ovvero catastrofe anziché sestetto moraleggiante e lieto fine. Dopo la morte di Don Giovanni non è tutto finito? Intanto nevica..
Il successo della regia si deve anche ai protagonisti. Gerard Finley è un Don Giovanni distaccato, quasi al di fuori dei giochi della vita, con un imprinting sicuramente aristocratico anche se alla deriva: un uomo che si confronta senza nascondersi con la vita e con la morte, fino all’ultimo respiro. Un Don Giovanni che però ci è apparso un poco nell'ombra dello straordinario Leporello outsider di Erwin Schrott che crea un personaggio inedito di grande realismo grazie alle innate capacità attoriali e mimiche. Schrott s’immedesima fino in fondo nel servitore drogato e schizofrenico che vive ai margini della società, creatura del bosco e della notte agile come uno scoiattolo (si solleva con le braccia sulla pensilina, cammina in equilibrio su rami intrecciati e la voce è sempre perfettamente a fuoco), pieno di com-passione nei confronti del suo alter ego – padrone. Un personaggio affettuoso e sfaccettato al di là dei tic ossessivi da crisi di astinenza. La voce è profonda e vellutata, il fraseggio mobile e accurato, morbida l’emissione. Bravo davvero. E sorprendente nell'unico momento in cui si toglie il cappello di lana, svelando i capelli biondo platino.
Dorothea Röschmann è un’ Elvira lirica, dalla voce limpida e luminosa, autenticamente mozartiana, cresciuta attorialmente rispetto alla prima edizione. Malin Byström è migliorata nel corso della recita, rendendo la bella mantide sofisticata e viziosa. Giovane e fresca la Zerlina di Christiane Karg, più ingenua che maliziosa, dalla voce chiara e adeguata alla parte. Adam Plachetka è un giusto Masetto. Joel Prieto è un Don Ottavio incolore e senza carattere, dominato da Donna Anna, un nerd di buona famiglia impacciato. Autorevole il Commendatore di Franz-Josef Selig.
Yannick Nézet-Séguin ha diretto molto bene i Wiener Philarmoniker sia nei tempi che nei suoni, anche se qualche sbavatura poteva essere evitata. Giusta la presenza dello KonzertvereinigungWiener Staatsopernchor.
Teatro esaurito, pubblico entusiasta, applausi lunghi e scroscianti.
Visto a Salisburgo, Haus fur Mozart, il 20 agosto 2011
Francesco Rapaccioni e Ilaria Bellini con la collaborazione di Paola Pierucci