Teatro

TRAVIATA A PADOVA

TRAVIATA A PADOVA

Siamo alle soglie dell'anno verdiano: attendiamoci dunque una valanga di spettacoli più o meno volutamente celebrativi dei duecento anni dalla nascita del Cigno di Busseto. Il Teatro Verdi di Padova dal canto suo onora in anticipo la ricorrenza presentando due titoli, la "Traviata" ed il "Nabucco": stagione cortissima, come si vede, ma tutta all'insegna del proprio Nume protettore. "Nabucco" sarà una produzione del tutto nuova in coproduzione con l'Opera Festival di Bassano; la vedremo a dicembre. Quanto a "La traviata", il Teatro Nazionale di Maribor dopo aver collaborato già nel recente passato - anche quest'ultima estate, con un bel "Elisir d'amore" - con la città di Oderzo, quest'anno è approdato un po' più in là, presentando al pubblico padovano la propria versione di questo capolavoro. Rilettura che nel 2008 venne affidata 'in toto' a Hugo De Hana, il quale con il suo felice estro consegnò una rilettura in felice equilibrio tra ricordi del passato ed accenni di modernità, stimolante per la ricchezza di invenzioni, meticoloso anche nei minimi dettagli. Qualcosina in realtà dello spettacolo originale, in questa ripresa padovana curata da Filippo Tonon, direi che si sia perso per strada: questa almeno l'impressione in chi - come me - aveva visto il lavoro del maniacale artista argentino al primissimo debutto. Resta nondimeno il valore complessivo di una regia assai sensata ed attenta al testo così come ai valori musicali, e che si mostra amante del verosimile: e se Alfredo corteggia Violetta con qualche palpeggiamento non a tutti gradito (ma indubbiamente realistico), De Hana non esagera nella scena della festa in casa di Flora, come spesso accade di vedere. Salvo qualche ballerino chiamato per la bisogna, sono gli stessi - e non troppi - invitati a darle animo e vita, così si ha l'impressione di una festa tra amici, come in effetti dovrebbe essere. Indovinato il taglio visivo delle scene, fatte di grandi quinte architettoniche ottocentesche, tagliate per lungo da una struttura in metallo e plexiglas; messa per largo sullo sfondo, questa diviene la grande serra della casa di campagna. Elementi strutturali tutti pertinenti e facilmente spostabili, che fondono suggerimenti d'antico e cenni d'attualità. Piacciono ancora naturalmente anche gli accurati costumi, tutti di stampo tradizionale, più o meno simili per gli uomini, uno diverso dall'altro per le donne; con abiti molto fascinosi per la bionda protagonista. Qualcuno non ha gradito pure che De Hana tratteggiasse Violetta, al suo ingresso in scena, come una voluttuosa cocotte: ma il senso del personaggio è proprio quello, una spensierata mantenuta che scopre improvvisamente («Sarìa per me sventura un serio amore?", è la sua prima preoccupazione dopo aver incontrato Alfredo) di poter provare del vero affetto per qualcuno. 
L'orchestra ed il coro (ed anche il corpo di ballo che interpretava le sapide idee coreografiche di Leda Lojodice), giungevano tutti dal teatro sloveno. Sul podio presiedeva Steven Mercurio, che però non ha convinto molto come concertatore e direttore. L'orchestra sotto di lui agiva con buona precisione, e giusta duttilità, ed i cantanti erano sempre ben seguiti. E' giusto evitare gli effetti bandistici ed il routiniero 'zum-pa-pa': ma il maestro statunitense, non so per qual motivo, ha tenuto costantemente l'orchestra su volumi di suono decisamente sommessi, che in genere sacrificavano gli archi a favore dei fiati. Al punto che si aveva l'impressione d'avere in buca un'orchestra da camera; o meglio, di sentire una mezza orchestra alla volta, una sezione sì e l'altra no. Scelta inspiegabile che non si riesce a capire. Il coro preparato da Zsuzsa Budavari-Novak se l'è cavata abbastanza bene con la nostra lingua, dato che nell'istituzione slovena il repertorio italiano è sempre presente.
C'era una certa attesa per la prova di Nathalie Manfrino: presente ed applaudita alla prima serata, non figurava nella seconda recita dove cantava la bulgara Petya Ivanova: In vista della terza recita domenicale alla quale eravamo presenti, il soprano francese era lì lì per dare forfait per un mal di gola, poi ci ha ripensato. Le non buone condizioni di salute, evidenti nella difficoltà di articolazione, hanno però minato alla base un'interpretazione di per sé intensa, ma che avrebbe potuto essere ben altra cosa se la voce avesse permesso di affrontare come si deve tutti i passi di agilità, quasi tutti spianati a raso. Intenso come si deve il finale, quanto a pathos, ma quanto a voce…à la prochaine fois. Anche il tenore Piero Pretti non stava bene durante le prime prove, ed è stato chiamato a sostituirlo a tambur battente Francesco Demuro: voce limpida e generosa, che sgorga fluente ma non sempre controllata a puntino. Comunque, ecco un Alfredo convincente, carico di quel 'giovanile ardore' che piace e che gli ha guadagnato il più vivo apprezzamento del pubblico padovano. Elia Fabbian ha una voce baritonale possente e dal bel colore, e questo mi pare averlo scritto già in altre occasioni. Però questo suo Giorgio Germont era inerte nella gestualità, ma soprattutto sbiadito nella linea di canto: le due arie del secondo atto sono state sciorinate senza mutare d'accento, senza esprimere il senso della parola, rese con un fastidioso tono monocorde. Un vero peccato, poiché da lui veramente ci si aspettava ben altra cosa. Vocalmente a posto e stuzzicante nella figura Irena Petkova nei panni di Flora; un po' chiassoso Orfeo Zanetti in quelli di Gastone, discreto Jaki Jurgec in quelli di Douphol. Bene Gabriele Nani (D'Obigny), Michela Bregantin (Annina), Valentin Pivovarov (Grenvil), Andrea Capovilla (Giuseppe).